scampoli

2. Condivisione elettronica

Nel supplemento «La lettura» del Corriere della Sera ho trovato un articolo dedicato a Twitter. In esso si sostiene che la Rete favorisce la condivisione degli affetti. Non sono d’accordo. I messaggi su Internet (qualunque sia la “piattaforma” usata) sono ben lontani dal creare condivisione. A mio parere sono autocelebrativi, autoreferenziali, compassionevoli, inutili, spettacolarizzanti, illusori… somigliano molto a certe partecipazioni al lutto o alle congratulazioni per le nozze. Quando la mogliettina di mio nipote scrive (è cronaca reale) «Ho preparato la torta per il mio tesorino», e da Pisticci una le scrive «Che bello! era al cioccolato?», credo che la condivisione non c’entri nulla. È lo scambio di un’informazione inutile che non porterà conseguenze di alcun genere. C’è solo quello strano e per me incomprensibile impulso a rendere pubblici gli affari propri, anche i più insignificanti, quel desiderio di “apparire” in un modo o nell’altro e comunque. Quella ricerca di “compagnia” che una volta gli uomini trovavano, ben più concretamente, all’osteria e le donne sferruzzando tra conoscenti sulla porta di casa (è ovvio che sto estremizzando e romanticizzando, ma il concetto dovrebbe essere chiaro). Il nostro massimo antropologo (Ernesto De Martino) aveva parlato, per altri contesti, di «crisi della presenza»: siamo in questo ambito. «Io scrivo quindi io sono» e se qualcuno mi risponde, «io sono» ancora di più.

È vero che, come dicono gli studiosi, l’essere umano desidera sempre condividere le proprie esperienze, soprattutto quando sono negative (in altre parole: cerca conforto, sostegno e comprensione), ma siamo veramente ridotti male se riusciamo a trovare quanto cerchiamo in una frase di poche parole digitate da un perfetto sconosciuto sulla tastiera di un computer. È comunque vero che comunicare il proprio male ha già un certo effetto consolatorio. L’anonimo che raccoglie “l’appello” a sua volta si sente gratificato nella propria coscienza di copartecipe. Da qui quelle aleatorie gare di partecipazione e certe cronache giornaliere sull’andamento di un tumore o di un Alzheimer della nonna.

Forse Twitter sta erodendo lo spazio che ancora esiste per la vera amicizia, creando l’illusione di poter contare su una illimitata platea di anonimi “amici”, forse pronti a venire in nostro soccorso e nei confronti dei quali anche noi – a parole e per via telematica – siamo pronti a correre in soccorso. Uno scambio che nella realtà ha ben poche probabilità di verificarsi. Si svaluta il valore dell’amicizia, quando addirittura si arriva a computare aritmeticamente il proprio parco-amici, stabilendo anacronistiche classifiche degli affetti; un computo non a qualità bensì a peso (Facebook). Si dice che questo fenomeno sia causato dal senso di solitudine che si impossessa di una massa di individui sempre più numerosa, ma sembra più ragionevole pensare che al contrario sia tra le cause proprio di questo dilagante senso di solitudine. In fondo la bocciofila e un bicchiere di barbera avevano anche un loro preciso valore sociale.

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