scampoli

10. Martedì: un bicchiere di poesia

Un mio ottimo amico (in senso morale e sociale) gestisce a Milano una storica rivendita di vini-&-affini. Una “cantine” ben nota in città, in regione, in Italia, e conosciuta anche all’estero. Il mio ottimo amico, insieme con la madre (appassionata di letteratura e di musica lirica), aveva da tempo dato vita ai «martedì della poesia». Alla sera, davanti a un pubblico decisamente composito per età, professione, sesso, passioni e interessi, l’ottimo amico saliva su uno sgabello e leggeva, con buona spigliatezza e sicuro sentimento, una poesia. Chi tra i presenti rispondeva al quesito finale si guadagnava un invidiabile e invidiato bicchiere. Non è secondario il fatto che nella “cantine” trovino alloggio 1.900 etichette diverse, all’interno delle quali 150 sono di champagne e 200 di superalcolici di vario genere e nazionalità. Dal canto suo, l’ottimo amico è sempre ben disposto a stappare una nuova bottiglia (felice disponibilità inaugurata dal padre, e che da anni caratterizza lo spirito che anima la “cantine” ).

Un giorno del marzo 2020 arrivò il lockdown. Chiusura obbligatoria, saracinesca abbassata, consegne esclusivamente su ordinazione telefonica o per asporto immediato, niente più pubblico per gli affollati «martedì della poesia» (con qualche sconfinamento nella prosa). Ma la soluzione è stata trovata: la lettura viene registrata in video con il telefonino e postata su Instagram, ovviamente il martedì sera.

Una mattina io sono davanti al banco per il solito cappuccino mentre l’ottimo amico non ha ancora individuato la poesia del giorno. Mi chiede di suggerirne una, con relativo quesito finale al quale gli internauti di buone letture e sapiente uso di internet potranno trovare la risposta e, passando di lì, aggiudicarsi la ricompensa. Poesia, poeta, quesito: fornisco tutto. Nasce una collaborazione, della quale qui sono riportati alcuni frutti.

Il colloquio della preghiera

Il colloquio delle preghiere sul punto d’esser dette
dal bimbo che va a letto e dall’uomo sulle scale
che sale all’alta stanza dell’amata morente,
indifferente l’uno a chi nel sonno andrà incontro,
l’altro pieno di lacrime temendola già morta,

S’aggira per il buio sulle ali del suono che essi sanno
salirà verso i cieli rispondenti su dalla verde terra,
dall’uomo sulle scale e dal bimbo accanto al letto.
Il suono che sta per levarsi nelle due preghiere
per il sonno in terra sicura e per l’amata che muore

Sarà uno stesso volo doloroso. Chi calmeranno?
Dormirà illeso il fanciullo o sarà in lacrime l’uomo?
Il colloquio delle preghiere sul punto d’esser dette
s’aggira tra i vivi ed i morti, e l’uomo sulle scale
non troverà morente, stanotte, ma viva e calda nel fuoco

Del suo trepidare nell’alta stanza il suo amore.
E il fanciullo indifferente a chi va la preghiera
affogherà in un’angoscia profonda come sarà la sua tomba,
e con gli occhi del sonno fisserà i neri occhi dell’onda
che su per le scale lo trascina verso una che è morta

Una delle poesie più famose del gallese Dylan Thomas, nella traduzione di Ariodante Marianni. Era in programma una collaborazione tra il poeta e un grande compositore del secolo scorso, quando il 9 novembre 1953 Thomas morì.  Domanda: Chi era il compositore? – Risposta: Igor Stravinskij.

Crescenzago

Tu forse non l’avevi mai pensato,
ma il sole sorge pure a Crescenzago.
Sorge, e guarda se mai vedesse un prato,
o una foresta, o una collina, o un lago;
e non li trova, e con il viso brutto
pompa vapori sul Naviglio asciutto.

Dai monti il vento viene a gran carriera,
libero corre l’infinito piano,
ma quando scorge questa ciminiera
ratto si volge e fugge via lontano
ché il fumo è così nero e attossicato
che il vento teme che gli mozzi il fiato.

Siedon le vecchie a consumar l’ore
e a numerar la pioggia quando cade,
i visi dei bambini hanno il colore
della polvere spenta delle strade,
e qui le donne non cantano mai
ma rauco e assiduo sibila il tranvai.

A Crescenzago ci sta una finestra
e dietro una ragazza si scolora,
ha sempre l’ago e il filo nella destra,
cuce e rammenda e guarda sempre l’ora,
e quando fischia l’ora dell’uscita
sospira e piange, e questa è la sua vita.

Prime quattro strofe di una poesia di Primo Levi, del febbraio 1943. D.: cos’ha in comune Levi con un famoso romanziere triestino del Novecento? – R.: il romanziere è Italo Svevo; entrambi lavorarono in una fabbrica di vernici. Levi come chimico, Svevo come marito della figlia del proprietario.

Mari del Sud

Camminiamo una sera sul fianco di un colle,
in silenzio. Nell’ombra del tardo crepuscolo
mio cugino è un gigante vestito di bianco,
che si muove pacato, abbronzato nel volto,
taciturno. Tacere è la nostra virtù.

Qualche nostro antenato dev’essere stato ben solo
– un grande uomo tra idioti o un povero folle –
per insegnare ai suoi tanto silenzio.
Mio cugino ha parlato stasera. Mi ha chiesto
se salivo con lui: dalla vetta si scorge
nelle notti serene il riflesso del faro
lontano, di Torino.

Incipit de «I Mari del Sud» di Cesare Pavese. Pavese ebbe infelici innamoramenti, tra i quali uno con un’allieva quando insegnava al liceo torinese D’Azeglio. Quell’allieva in anni futuri farà parte della “Giuria di qualità” al Festival di Sanremo. D.: chi era l’allieva? – R.: Fernanda Pivano, americanista, traduttrice, intellettuale. (Sanremo 1999)

Work in Progress

Dell’asfodelo, quel fiore verdeggiante,
come un ranuncolo
sopra il suo gambo che si dirama —
solo che è verde e legnoso —
io vengo, mia dolce
a cantarti.
Vivemmo a lungo insieme
una vita piena,
se vuoi,
di fiori. Così che
mi rallegrai
quando la prima volta seppi
che esistevano fiori anche
in inferno.
Oggi
sono colmo della svagante memoria di quei fiori
che entrambi amammo,
persino questa povera
cosa senza colore —
la vidi quand’ero fanciullo —
di poco prezzo fra i vivi
ma che i morti vedono,
chiedendosi tra loro:
Che cosa ha questa
forma?
e i nostri occhi sono pieni
di lacrime.

Da una poesia di William Carlos Williams, poeta e medico pediatra. Nel 1956, a 73 anni, Williams scrisse la prefazione al poema del giovane caposcuola di una nuova corrente poetica americana.  D.: chi era il giovane? – R.: Allen Ginsberg; la corrente poetica la Beat Generation; il poema «Urlo» (Howl).

I Died for Beauty

Morii per la Bellezza; e da poco ero
discesa nell’avello,
che, caduto pel Vero, uno fu messo
nell’attiguo sacello.

«Perché sei morta?» mi chiese sommesso.
Dissi «Morii pel Bello».
«Io per la Verità: dunque è lo stesso
– disse – son tuo fratello».

Da tomba a tomba, come due congiunti
incontratisi a notte,
parlavamo così; finché raggiunti
l’erba ebbe nomi e bocche.

La poesia,i in questa traduzione, si trova nel romanzo di Giorgio Bassani «Il giardino dei Finzi Contini». D.: chi è l’autrice? – R.: Emily Dickinson

Marilyn

Del mondo antico e del mondo futuro
era rimasta solo la bellezza, e tu,
povera sorellina minore.
quella che corre dietro ai fratelli più grandi,
e ride e piange con loro, per imitarli,
e si mette addosso le loro sciarpette,
tocca non vista i loro libri, i loro coltellini,
tu sorellina più piccola,
quella bellezza l’avevi addosso umilmente,
e la tua anima di figlia di piccola gente,
non ha mai saputo di averla,
perché altrimenti non sarebbe stata bellezza.
Sparì, come un pulviscolo d’oro.
Il mondo te l’ha insegnata.
Così la tua bellezza divenne sua.

Nel film «La Rabbia», nella parte diretta da Pasolini, la poesia viene recitata da una voce fuori campo. È di uno scrittore italiano in quegli anni sulla cresta dell’onda (anno 1963).  D.: chi recita? – R.: Giorgio Bassani («Il giardino dei Finzi Contini»)

Padre se anche tu non fossi il mio

Padre se anche tu non fossi il mio
padre, se anche fossi a me un estraneo,
per te stesso egualmente t’amerei.
Ché mi ricordo d’un mattin d’inverno
che la prima viola sull’opposto
muro scopristi dalla tua finestra
e ce ne desti la novella allegro.
Poi la scala di legno tolta in spalla
di casa uscisti e l’appoggiasti al muro.
Noi piccoli stavamo alla finestra.

Prima strofa di una poesia di Camillo Sbarbaro. In essa si evidenzia un procedimento stilistico che anche in italiano di solito viene indicato con un termine francese. D.: quale termine? – R.: enjambement (l’ultima parola di un verso si completa anche nel significato con la prima del verso seguente).

Moby Dick

«L’impressionante aspetto di Ahab mi colpì a tal punto, con quel taglio nella carne viva che ne deturpava il volto attraversando la barba e giù nel collo, al punto che per i primi istanti notai solo di sfuggita il fatto che non poco di quell’aspetto tanto feroce era soprattutto dovuto all’orrenda gamba bianchiccia grazie alla quale si reggeva in piedi. Mi era già stato riferito che l’arto in avorio era stato ricavato dalla mandibola, ben ripulita e ben lavorata, di una balena spermaceti.»

La prima apparizione del capitano Ahab in Moby Dick, di Herman Melville. A mutilarlo erano stati i denti di Moby Dick (un capodoglio) durante il loro primo scontro.  D.: quale gamba era stata amputata? – R.: Melville non lo dice.

Preghiera

Anima mia leggera,
va’ a Livorno, ti prego.
E con la tua candela
timida, di nottetempo
fa’ un giro; e, se n’hai tempo,
perlustra e scruta, e scrivi
se per caso Anna Picchi
è ancor viva tra i vivi.

Proprio quest’oggi torno,
deluso, da Livorno.
ma tu, tanto più netta
di me, la camicetta
ricorderai, e il rubino
di sangue, sul serpentino
d’oro che lei portava
sul petto, dove s’appannava.

Anima mia, sii brava
e va’ in cerca di lei.
Tu sai cosa darei
se la incontrassi per strada.

Poesia di Giorgio Caproni, presente nella raccolta «Il seme del piangere», anno 1959.  D.: a chi è dedicata? Alla moglie, al primo amore, all’amante, a una vecchia compagna di scuola, a un amore non corrisposto… – R.: alla madre, morta nel 1950.

Morte, io sorrisi

Morte, io sorrisi al tuo cospetto! e questa
certamente non fu la prima volta.
Il mio volto, ben noto alla sventura,
nel tremendo frangente di mia vita
s’atteggiava al dolore… e che dolore!
Nell’agonia l’amata donna! e un sorso
d’acqua negato a quell’inaridite
labbra! … Io sorrisi! Ma da disperato,
ma di demon fu quel sorriso. Il fuoco
dell’Inferno m’ardeva, e pur io vissi!

Inizio di una poesia. L’autore (nato nel 1807 e morto nel 1882) è universalmente noto per ben altra attività. D.: chi è? – R.: Giuseppe Garibaldi.

La donna con la lampada

Così pensavo, mentre a notte leggevo
della lunga schiera di morti,
della trincea fredda e fangosa,
dell’accampamento gelido e affamato,
Dei feriti sul campo di battaglia,
in ospedali tetri e dolenti,
lungo corridoi senza speranza,
con pavimenti di gelida pietra.
Guarda! in quella casa di dolore
ecco una donna con la lampada
passare tra incerti bagliori
e scivolare da una baracca all’altra.
E lento, come in un sogno di felicità,
il muto sofferente si volge per baciare
l’ombra di lei che si staglia
sulle pareti che entrano nell’ombra.
Come se si fosse spalancata la porta
del paradiso, poi subito richiusa,
la visione appare e svanisce,
così la luce brilla e si spegne.

Strofe, da una poesia del 1857 dell’americano Henry Longfellow, che celebrano «La Donna con la Lampada» (The Lady with the Lamp), descritta mentre, durante la Guerra di Crimea, assiste e conforta i feriti. D.: chi è la donna? – R.: Florence Nightingale, fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna.

Febbraio

Febbraio. Prender l’inchiostro e piangere!
Scrivere di febbraio a singhiozzi,
finché il tempo piovoso scrosciante
brucia come una fosca primavera.

Prendere una carrozza. Per sei soldi,
fra scampanio e stridere di ruote,
recarsi là dove la pioggia torrenziale
strepita più che lacrime ed inchiostro.

Dove, come pere incenerite,
dagli alberi mille cornacchie
cadranno nelle pozze rovesciando
una secca mestizia sul fondo degli occhi.

Nereggiano di sotto gli spazi disgelati,
e il vento è solcato dai gridi,
e quanto più a caso, tanto più esattamente
si compongono i versi a singhiozzi

Autore russo, famoso soprattutto per un unico romanzo che gli valse il premio Nobel, ma che, inviso al regime sovietico, non poté recarsi a ritirare. D.: chi è? – R.: Boris Pasternak («Il Dottor Zivago»).

Ode

Gioia, bella scintilla divina,
figlia dell’Elisio,
noi entriamo ebbri e frementi,
celeste, nel tuo tempio.
Il tuo fascino riunisce
ciò che la moda separò,
ogni uomo s’affratella
dove la tua ala soave freme.

L’uomo a cui la sorte benevola,
concesse il dono di un amico,
chi ha ottenuto una donna devota,
unisca il suo giubilo al nostro!
Sì, chi anche una sola anima
possa dir sua nel mondo!
Chi invece non c’è riuscito,
lasci piangente e furtivo questa compagnia!

Parte di una poesia di Friedrich Schiller musicata e proposta per la prima volta in questa veste nel 1824, all’interno di una creazione molto più ampia. D.: Dove si trova la versione musicata? – R.: Nona Sinfonia di Beethoven.

Piccolo valzer viennese

A Vienna ci sono dieci ragazze
una spalla dove singhiozza la morte
e un bosco di colombi disseccati.
C’è un frammento del mattino
nel museo della brina.
C’è un salone con mille finestra.
Ahi ahi ahi ahi
Prendi questo valzer con la bocca chiusa.
Questo valzer, questo valzer, questo valzer,
di sì, di morte e di cognac che bagna la coda in mare.
T’amo, t’amo, t’amo
con la poltrona e con il libro morto,
nel malinconico corridoio,
nell’oscura soffitta del giglio,
nel nostro letto della luna
e nella danza che sogna la tartaruga,
Ahi ahi ahi ahi
Prendi questo valzer dalla cintura spezzata.

Inizio di una poesia di Federico Garcìa Lorca. La sua traduzione è stata impiegata da un cantautore-poeta canadese per una canzone in lingua inglese. D.: chi è il cantautore? – R.: Leonard Cohen («Take This Waltz»)

La ballata del vecchio marinaio

È un vecchio Marinaio,
e ferma uno dei tre.
«Pel tuo barbone grigio e l’occhio fulminante,
Perché mi fermi, di’?

«La porta dello Sposo è spalancata,
e io son parente stretto;
gli invitati sono giunti, la festa s’avvia:
senti l’allegro baccano che fanno».

Quello lo tiene con la mano scarna,
«C’era un nave», disse.
«Stammi lontano! E giù le mani, vecchio lazzarone!»
Tosto gli tolse la mano di dosso.

Ma lo tiene col suo occhio che lampeggia –
più non faceva un gesto l’Invitato,
e sta a sentire, come bimbo di tre anni:
la volontà del Marinaio è fatta.

L’autore del poemetto (questo l’inizio) è Samuel Taylor Coleridge. Il traduttore è un romanziere italiano, anche accanito traduttore dall’inglese, impiegato in una casa vinicola e famoso per un romanzo postumo. D.: chi è? – R.: Beppe Fenoglio («Il partigiano Johnny»).

Tu sei come

Tu sei come una giovane,
una bianca pollastra.
Le si arruffano al vento
le piume, il collo
china per bere, e in terra raspa;
ma, nell’andare, ha il tento
tuo passo di regina,
ed incede sull’erba
pettoruta e superba.
E’ migliore del maschio.
E’ come sono tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio.

Poesia di Umberto Saba. Prosegue con similitudini con altri animali: giovenca, cagna, coniglia, rondine, formica. Non è riportato il vero titolo in quanto rappresenta la risposta. D.: a chi è dedicata? – R.: alla moglie, Lina Wolfler.

La pioggia nel pineto

Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove
che parlano gocciole e foglie
lontane.
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamarici
salmastre ed arse,
piove sui pini
scagliosi ed irti,
piove sui mirti
divini,
su le ginestra fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti di coccole aulenti,
piove su i nostri volti
silvani,
piove se le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti
leggieri,
su i freschi pensieri
che l’anima schiude novella,
su la favola bella
che ieri
t’illuse, che oggi m’illude,
o Ermione.

Parte della più famosa poesia di Gabriele D’Annunzio. In un’occasione il poeta incontrò un altro gigante del ventesimo secolo: Franz Kakfa. D.: dove, quando e in che occasione? – R.: a Montichiari (Brescia), in occasione del primo aerodromo italiano, anno 1909.

Parca – Villaggio

A lungo si parlò di te attorno ai fuochi
dopo le devozioni della sera
in queste case grigie ove impassibile
il tempo porta e scaccia volti d’uomini.
Dopo, il discorso cadde su altri ed i suoi averi,
furono matrimoni, morti, nascite,
il mesto rituale della vita.
Qualcuno, forestiero, passò di qui e scomparve.
Io vecchia donna in questa vecchia casa,
cucio il passato col presente, intesso
la tua infanzia con quella di tuo figlio
che traversa la piazza con le rondini.

L’autore venne nominato Senatore in occasione del suo novantesimo compleanno. Fu critico cinematografico e molto legato alla poetessa Cristina Campo. D.: chi è? – R.: Mario Luzi

Lo straniero da «Lo spleen di Parigi»

«Dimmi, chi ami di più, tu, uomo enigmatico? Tuo padre, tua madre, tua sorella oppure tuo fratello?»
«Non ho padre, né madre, né sorella né fratello»
«I tuoi amici?»
«Ti servi di una parola il cui senso mi è rimasto fino a questo momento sconosciuto»
«La tua patria?»
«Ignoro sotto quale latitudine essa sia situata»
«La bellezza?»
«L’amerei volentieri, dea immortale»
«L’oro?»
«Lo odio, come tu odi Dio»
Eh! Che ami dunque, straordinario straniero?»
«Amo le nuvole… le nuvole che passano… laggiù laggiù… le nuvole meravigliose!»

Charles Baudelairie compose i «poemetti in prosa» tra il 1855 e il 1864. Nel 1860 scrisse una lettera a un musicista e compositore che era stato accolto con grande ostilità dal pubblico parigino. Il poeta volle manifestargli la propria stima.  D.: chi era il musicista? – R.: Richard Wagner.

Strinsi le mani

Strinsi le mani sotto il velo oscuro…
«Perché oggi sei pallida?»
Perché d’agra tristezza
l’ho abbeverato fino a ubriacarlo.

Come dimenticare? Uscì vacillando,
sulla bocca una smorfia di dolore…
Corsi senza sfiorare la ringhiera,
corsi dietro di lui al portone.

Soffocando, gridai: «È stato tutto
uno scherzo. Muoio se te ne vai».
Lui sorrise calmo, crudele
e mi disse: «Non stare al vento».

Poesia di Anna Achmatova, tradotta da Michele Colucci. A Parigi la Achmatova frequentò Modigliani. Morì nel 1966. Ogni giorno leggeva qualcosa dell’opera di un grande italiano. D.: quale italiano? – R.: Dante.

E la tua infanzia, dimmi

E la tua infanzia, dimmi, dove sta la tua infanzia?
Io voglio la tua infanzia,
l’acqua che bevesti,
i fiori che calpestasti,
le trecce che annodasti,
le tue risa perdute.
Possibile che mie non siano state?
Dimmelo, sono triste,
quindici anni, soltanto tuoi, non miei.
Quella tua infanzia, oh, non celarmi!
Prega iddio che ci ridia il tempo.
Tornerà la tua infanzia e giocheremo

Poesia di Gerardo Diego. Diego fece parte di un gruppo di poeti comprendente anche Garcia Lorca. Il gruppo era contraddistinto dalla data dell’anno in cui si celebrava il trecentesimo anniversario di Luis de Gòngora. D.: come si chiamava il gruppo? – R.: Generazione del ’27.

Il dolore

Il dolore è un grigio, muto,
col viso scarno, gli occhi azzurro-chiari;
gli pende giù dalle fragili spalle
la borsa, scuro e logoro ha il vestito.
Dentro al suo petto batte un orologio
da pochi soldi; timido egli sguscia
di strada in strada, si stringe alle mura
delle case, sparisce in un portone.
Poi bussa. Ed ha una lettera per te.

Tradotta da Umbert Albini, poesia di quello che è considerato il maggior poeta ungherese del Novecento, morto nel 1937 a 32 anni. Accanto al Parlamento di Budapest sorge la sua statua, e quando il capo del governo Viktor Orban manifestò l’intenzione di farla rimuovere, la popolazione si ribellò. D.: chi è? – R.: Attila Jozsef.

Il Grande Gatsby

«Nei miei anni più giovani e vulnerabili mio padre mi diede un consiglio che non ho mai smesso di considerare. “Ogni volta che ti sentirai di criticare qualcuno”, mi disse, “ricordati che non tutti a questo mondo hanno avuto i tuoi stessi vantaggi”. Non aggiunse altro, ma nel nostro riserbo siamo sempre stati sorprendentemente comunicativi e compresi che voleva sottintendere molto di più. Di conseguenza, sono incline a sospendere ogni giudizio, abitudine che mi ha aperto a un gran numero di persone strane e mi ha inoltre reso vittima di non pochi seccatori consumati, Una mente degenerata è lesta a riconoscere una simile caratteristica e ad attaccarvisi quando si manifesta in una persona normale, e fu così che al college mi ritrovai a torto accusato di essere intrigante perché ero al corrente delle pene nascoste di uomini sregolati e misteriosi.»

Inizio del romanzo di Francis Scott Fitzgerald nella traduzione di Tommaso Pincio. La vicenda si svolge nei primi anni ’20 del secolo scorso, nell’America dell’Età del Jazz e del proibizionismo. D.: come venivano chiamati i distillatori clandestini di liquori? – R.: moonshiner; il loro lavoro si svolgeva di notte (da “moon”, luna, e “to shine” illuminare, brillare).

La sepoltura dei morti

Aprile è il mese più crudele, genera
lillà da terra morta, confondendo
memoria e desiderio, risvegliando
le radici sopite con la pioggia della primavera.
L’inverno ci mantenne al caldo, ottuse
con immemore neve la terra, nutrì
con secchi tuberi una vita misera.
L’estate ci sorprese, giungendo sul lago
con uno scroscio di pioggia: noi ci fermammo sotto il colonnato,
e proseguimmo alla luce del sole, nel giardino reale,
e bevemmo caffè, e parlammo un’ora intera.
(…)
Mio cugino mi condusse in slitta,
e ne fui spaventata. Mi disse, Marie,
Marie, tieniti forte. E ci lanciammo giù.
Fra le montagne ci si sente liberi.
Per la gran parte della notte leggo, d’inverno vado nel sud.

Inizio de «La terra desolata», poemetto di T. S. Eliot. Eliot si avvalse della supervisione di un collega americano, che accorciò la versione che gli era stata sottoposta, e al quale sarà dedicata nella stesura definitiva. D.: chi era il collega? – R.: Ezra Pound.

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.

Poesia di Eugenio Montale dedicata alla moglie Drusilla Tanzi. Drusilla veniva chiamata “Mosca”, sia dal marito sia dagli amici.  D.: perché quel soprannome? – R.: portava occhiali molto spessa, il che le dava l’aspetto di una mosca.

Polvere di neve

Il modo in cui una cornacchia
ha scosso sopra di me
la polvere di neve
da un pino canadese

Ha prodotto nel mio cuore
un mutamento d’umore
che ha salvato parte
di un giorno spiacevole.

Composizione di Robert Frost. Frost prese ufficialmente parte all’insediamento di un presidente degli Stati Uniti, recitando due sue poesie. D.: quale presidente? – R.: John Kennedy

da Canne al vento

«Ma dimmi, dimmi Efix», proseguì accorata, «non è una gran cattiva sorte la nostra? Giacinto che ci rovina e sposa quella pezzente, e Noemi che rifiuta invece la buona fortuna. Ma perché questo, Efix, dimmi, tu che hai girato il mondo: è da per tutto così? Perché la sorte ci stronca così, come canne?»
«Sì», egli disse allora, siamo proprio come canne al vento, donna Ester mia. Ecco perché! Siamo canne, e la sorte è il vento.»
«Sì, va bene: ma perché questa sorte?»
«E il vento, perché? Dio solo lo sa.»

Nel romanzo di Grazia Deledda le “canne” rappresentano gli esseri umani, il “vento” il destino; tre canne, entro le quali l’esecutore soffia contemporaneamente, senza mai fermarsi per prendere respiro, costituiscono uno strumento musicale esclusivo dell’isola. D.: come si chiama lo strumento? – R.: launeddas

Un itinerario bacchico

«Non conoscete il Nepente d’Oliena neppure per fama? Ahi, lasso! Io son certo, che se ne beveste un sorso, non vorreste mai più partirvi dall’ombra delle candide rupi, e scegliereste per vostro eremo una di quelle cellette scarpellate nel macigno che i Sardi chiamano Domos de Janas, per qui spugnosamente vivere in estasi fra caratello e quarteruolo. Io non lo conosco se non all’odore, e l’odore, indicibile, bastò a inebriarmi»

 Gabriele D’annunzio era stato in Sardegna con alcuni colleghi giornalisti. Ebbe modo di sentire il profumo del vino Nepente, che citerà nel 1910 in un articolo per «il Corriere della Sera». D.: perché si riferisce solo all’odore?- R.: secondo accreditati biografi, D’Annunzio era astemio.

Romagna

Sempre un villaggio, sempre una campagna
mi ride al cuore (o piange), Severino:
il paese ove, andando, ci accompagna
l’azzurra vision di San Marino:
sempre mi torna al cuore il mio paese
cui regnarono Guidi e Malatesta,
cui tenne pure il Passator cortese,
re della strada, re della foresta.

Incipit di una poesia di Giovanni Pascoli. Nella prima strofa si accenna a San Marino. Nell’Ottocento ne fu offerta la cittadinanza a un Presidente degli Stati Uniti, che accettò dicendo «il vostro è uno degli Stati più onorati di tutta la storia». D.: chi era il presidente? – R.: Abramo Lincoln, anno 1861.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *