Quello che per quarant’anni si disse sulla fine di Bessie Smith non era (del tutto) vero. Lo si era creduto a lungo per via di un immediato articolo apparso sulla rivista specializzata Down Beat a firma di John Hammond (cognato e scopritore di Benny Goodman, nonché scopritore di Count Basie e produttore discografico anche di Bessie). E poi nel 1959 rafforzò quella versione un’opera teatrale (un atto unico) di Edward Albee, The Death of Bessie Smith. La verità fu ristabilita nel 1972 grazie a indagini accurate del biografo Chris Albertson (che per il suo libro poté parlare anche con testimoni diretti del tragico evento accaduto tanto tempo prima).
In realtà dopo il gravissimo incidente d’auto (guidava il suo amante, Richard Morgan, uscito illeso dallo scontro con un autocarro) la “Imperatrice del blues” rimase a lungo sanguinante sulla strada, con il braccio destro pressoché staccato dal corpo, in un lago di sangue. Purtroppo furono le ambulanze a tardare, per vari disguidi, e per di più un’auto arrivata a gran velocità piombò su quella di un medico (poi uno dei testimoni ritrovati da Albertson) che si era fermato e che, viste le lungaggini, stava già caricando lui la povera Bessie. Infine Bessie fu ricoverata in un ospedale “per neri”, ebbe tutte le cure possibili ma non ci fu nulla da fare: morì quasi subito, il 26 settembre 1937, a Clarksdale, Missouri, all’età di 43 anni. Oltre tutto in quella città l’ospedale per soli bianchi e quello per soli “coloured” (il G.T. Thomas Afro-American Hospital) erano praticamente fianco a fianco, e nessuno in quei tempi di duro razzismo avrebbe commesso il gravissimo errore di scambiare l’uno per l’altro.
Non è che il razzismo nel Sud di allora ne esca pulito e assolto. Lo condanna il fatto che possa essere stata accettata per decenni in quanto assolutamente credibile una leggenda come quella di una persona che muore dissanguata perché respinta da più ospedali a causa del colore della pelle. E chissà quante volte sarà davvero capitato…