Storia

21c Il solco della rivoluzione

Terminata la prima incisione fonografica della sua carriera, il famoso pianista Hans von Bülow volle immediatamente verificarne il risultato. La cronaca dice che svenne. Gioia o raccapriccio? Non si sa. Erano gli anni Novanta dell’Ottocento e la registrazione del suono sperimentata una decina di anni prima da Thomas Alva Edison, e perfezionata da Emile Berliner, che al cilindro sostituì il disco e quindi la possibilità di una produzione in serie, veniva ancora considerata da molti una semplice curiosità. La maggior parte degli artisti si tenevano prudentemente lontani da quel solco tracciato nella cera o nella gommalacca e che, si diceva, avrebbe permesso di conservare e quindi riprodurre il suono. Una lontananza affrettata e tenuta con scarsa lungimiranza, in verità, se si pensa che entro due decenni o poco più, negli Stati Uniti si venderanno oltre 110 milioni di dischi ogni anno, su una popolazione di 120 milioni di abitanti.

Per la musica stampata su carta inizierà una crisi irreversibile; altrettanto succederà al pianoforte, lo strumento che fino ad allora figurava come immancabile complemento nell’istruzione delle signorine di buona famiglia. Il pianoforte va in cantina e il suo posto è preso dal fonografo, magari in un modello a due trombe, per aumentarne il volume del suono.

Non tutti rimasero insensibili al richiamo della tecnica. Fra i più lesti e lungimiranti a seguire la corrente che cambiava vi fu Enrico Caruso, che sbarcato in America nel 1903, non solo conquistò il Metropolitan, ma negli anni della Prima guerra mondiale incise una canzone, Over There, che era un inno di puro patriottismo. Del disco vennero vendute un milione di copie a 75 centesimi di dollaro l’una e il Presidente Woodrow Wilson lo giudicò «un messaggio di genuino amorpatrio per tutti gli uomini d’America». L’anno prima, l’11 aprile 1902 a Milano, Caruso aveva inciso, in quella che fu la sua prima esperienza discografica, alcuni brani da Germania di Franchetti, sponsor la Gramophone Concert Record che aveva inviato due tecnici, tra i quali il pioniere Fred Gaisberg, forniti di attrezzatura e di soldi. Qualche anno dopo (nel 1918), ancora a Milano, l’erede di Caruso, Beniamino Gigli, entra anche lui per la prima volta in sala d’incisione e consegna alla Voce del Padrone alcune memorabili facciate, con brani da MefistofeleTosca e Iris.

Un altro grande, Francesco Tamagno, aveva invece avuto un rapporto difficile con l’incisione discografica: la sua incredibile voce dagli acuti squillanti mal si adattava alla rudimentale tecnica di allora, e la puntina, sia in fase di incisione sia in fase di ascolto, faceva le bizze. Avrebbe avuto bisogno dell’incisione elettrica e dell’impiego del microfono, senza più dover dispiegare la voce davanti a una sorta di imbuto rovesciato, mentre la puntina sembrava impazzire. Ma la nuova tecnica sarebbe arrivata solo nel 1925.

Igor Stravinsky non esitò a dichiarare pubblicamente il proprio entusiasmo per il disco. Nel 1930 firmò un contratto con la Columbia che lo avrebbe impegnato come pianista e direttore d’orchestra, ma già prima aveva sperimentato la novità. Il compositore russo era in perenne polemica con i direttori d’orchestra, rei di voler “interpretare” la sua musica anziché limitarsi ad “eseguirla”: il disco gli permetteva di lasciare ai posteri traccia tangibile di come lui voleva che fosse eseguita: «Ora non potranno più dire di ignorarlo!». Dal canto suo, agli inizi del secolo Ventesimo il compositore ungherese Béla Bartok aveva percorso, munito di fonografo, le campagne del suo Paese e del Medioriente per incidere dal vivo i canti dei contadini. Divenne uno dei Padri dell’etnomusicologia, disciplina per la quale scrisse le prime fondamentali regole.

In concreto il disco stava rivoluzionando l’industria della musica come intrattenimento casalingo. Anzi, fu proprio con l’arrivo di incisione, conservazione e riproduzione del suono che si iniziò a parlare di “industria musicale”. Il 78 giri (il numero di giri fu un compromesso tra le velocità di 76 e 80 diffuse fino al 1905) conquistava nuovi mercati. Nel 1907 sui nostri quotidiani apparve una pubblicità con la quale la ditta Vittorio Bonomi, via Vincenzo Monti 32 Milano, offriva alla clientela dischi, marca Odeon, al prezzo di 7 o 3,5 lire l’uno. Qualche decennio dopo, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, i prezzi sarebbero arrivati a 15 e 20 lire, in funzione del diametro. Non si trattava di una cifra indifferente se nel 1938 si poteva sognare una vita da nababbo con «mille lire al mese», come affermava la canzone. Di lì a poco la guerra non avrebbe più lasciato spazio al divertimento domestico e negli Stati Uniti si incideranno solo dischi destinati alle forze armate (i cosiddetti V Disc, i dischi della vittoria), aggirando il lungo sciopero degli orchestrali, il famoso Petrillo Ban, dal nome del capo del sindacato.

Il 78 giri, per via della sua stessa durata che si aggirava intorno ai tre minuti, proponeva soprattutto canzoni, jazz, romanze, ballabili. Non mancarono le sinfonie di Beethoven e le opere liriche, spezzettate o abbreviate, ma non furono loro a fare il mercato. Nel 1920 una cantante afroamericana, Mamie Smith, incise il primo blues e il suo successo fece scoprire agli americani il mercato della gente di colore, i race records. In Italia idolo discografico fu Carlo Buti, dalla bella voce tenorile, che proporrà canzoni che fecero epoca, da Signorinella a Faccetta Nera. Arriverà da noi anche la canzone made in Usa, e i “nostri” risponderanno sia assimilandone lo stile che accentuando il proprio. Il Fascismo impose la traduzione dei titoli stranieri, con il risibile risultato di fare di Saint Louis Blues una strampalata Le tristezze di San Luigi. In un anno le swinganti tre sorelle Lescano vendettero 350mila dischi, stabilendo un primato per gli anni Trenta. Dopo la guerra, nel 1952, in Italia sbarcò il microsolco, a 33 e a 45 giri. Il 78 si estinse.

Oggi i vecchi dischi vengono riscoperti: come documento storico e di costume, come testimonianza di un’epoca, come “fotografia” sonora di un mondo. I collezionisti, che in Italia si sono soprattutto dedicati alla lirica e all’estero anche al jazz, aprono i loro forzieri e rendono tutti partecipi di un piacere fino a ieri assaporato in rigorosa solitudine. La casa discografica Fonit Cetra si sta impegnando attivamente nella riproposta dei 78 giri [collana Fonografo Italiano, anno 1979], ovviamente in antologie di 33 giri. «Si tratta di un lavoro delicato – dice Plinio Chiesa, tecnico dell’operazione – perché sui vecchi dischi non si deve intervenire più di tanto con la moderna tecnologia: il disco va rispettato per quello che era. Non si deve creare un prodotto nuovo, mai esistito: sarebbe un falso». Viene in mente quello che più volte disse un musicologo e compositore americano, Gunther Schuller: «Per l’appassionato il fruscio di un archeologico 78 giri ha lo stesso fascino del ronfare del motore di una Ford modello T».

(A.P. per Trader, mensile del mercato audio & video)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *