Un vero gentleman inglese. Mi appare così quando vado ad aprire la porta. Pantaloni e giacca color grigio scuro (fumo di Londra?), camicia bianca, cravatta di colore blu annodata con morbida perfezione. Regge una cartella marrone nella mano sinistra, mentre la mano destra è tesa a proporre una stretta: «Ciao, sono Edward». Edward Neill sorride serafico, guardandomi da sopra gli occhiali dalla montatura sottile. Ti aspetteresti che da un momento all’altro tiri fuori di tasca la pipa. Ma non lo fa: non fuma.
È il 1978 e con Edward siamo in stretto contatto telefonico e postale da alcuni mesi, perché io sto seguendo la fase di produzione di un’antologia in quattro long-playing dedicata alla musica popolare della Liguria. Le registrazioni “sul campo” e le note esplicative le ha curate lo stesso Neill, etnomusicologo di grande valore, conosciuto in mezzo mondo e portatore di una contagiosa empatia, quella che gli serve per contattare vecchi, e meno vecchi, cantori popolari (per lo più pescatori e camalli). Gli incontri di solito hanno luogo nelle osterie intorno al porto. Loro cantano e raccontano, lui fa domande e registra con l’inseparabile portatile a nastro piazzato sul tavolo.
Nato a Firenze da madre genovese e padre irlandese, si è trasferito da giovane a Genova e ha studiato musicologia per poi specializzarsi nella riproposta di autori classici poco “frequentati” dal pubblico di casa nostra. Primo fra tutti Anton Bruckner (ne ha creato un’Associazione italiana), poi, tra gli altri, Holst, Nielsen, Elgar e Reger. Tra i suoi interessi primari figura – direi “ovviamente” – Paganini. Con i colleghi Leydi e Carpitella ha fondato la Società Italiana di Etnomusicologia, invitando anche me a farne parte. Forte di un perfetto bilinguismo, è stato relatore in importanti congressi internazionali, sia per l’ambito popolare sia per quello classico. Ha anche dato vita a una rivista di breve vita e a una piccola etichetta discografica, che proprio ora sta cedendo a un appassionato che opera a Genova. Si dimostra rapinoso conversatore, ricco di aneddoti e capace di scivolare inavvertitamente su argomenti di estemporaneo interesse: per esempio la delicata squisitezza del granchio in scatola Chatka. Anche mia moglie non è indenne dal suo magnetismo vocale, di cui avverte tutta la simpatia comunicativa accompagnata da uno sguardo arguto e ammiccante.
È qui per consegnarmi personalmente il materiale per l’ultimo disco ligure, ma anche per un’altra ragione alla quale tiene moltissimo. Ha infatti con sé il nastro contenente la registrazione di un recital di una grande promessa italiana del pianismo classico: Dino Ciani. A soli 32 anni il giovane è deceduto in un incidente stradale, quando già il mondo intero lo idolatrava per le sue interpretazioni di Chopin, Beethoven, Bach o Debussy, con direttori d’orchestra del calibro di Muti, Abbado e Gavazzeni. Sembrava l’erede naturale di Benedetti Michelangeli. Neill custodisce in cartella la preziosa testimonianza con i 24 Studi di Chopin, in origine destinati alla sua etichetta Dynamic, che però tra pochi giorni non sarà più sua. Allora mi chiede, con garbo e forse leggero imbarazzo, di occuparmene per il catalogo della Casa alla quale da anni presto la mia opera. Dice, quasi a scusarsene: «È una promessa che devo mantenere. L’ho promesso alla mamma di Dino. Lei mi ha anche chiesto di poter vedere per approvazione la prova di stampa della copertina… e vuole che sia io a scrivere la presentazione che verrà stampata sul retro… sai? Le mamme…». La Mamma approverà. Tra le altre cose si potrà leggere: «… non potevo nascondere a me stesso la meraviglia suscitata dalla sicurezza con cui eseguì tutti gli Studi uno dopo l’altro, e con lo stesso impegno che egli avrebbe messo in una esecuzione in pubblico. Morale: non fu necessario effettuare un rifacimento o un solo taglio.»