«Esiste un numero di normali affermazioni presenti nella vita quotidiana che per noi sono certezze assolute. Una di questa dice che se un braccio viene amputato non crescerà più»: la frase si trova in Della certezza, opera postuma dell’eminente filosofo viennese Ludwig Wittgenstein, pubblicata nel 1969, diciotto anni dopo la sua morte. Non si sa con esattezza quando la formulò ma non si è certo lontani dalla verità ritenendo che in quel momento pensasse al fratello Paul.
Paul, nato nel 1887, era il figlio maggiore della famiglia Wittgenstein, famosa e prolifica nella Vienna imperiale: nove figli, sei maschi e tre femmine. Il padre Karl era u ricchissimo e celebrato industriale dell’acciaio (tra gli uomini più ricchi d’Europa) e il suo salotto, orchestrato anche dalla moglie Leopodine, valida pianista, vedeva avvicendarsi tra gli ospiti alcuni dei più bei nomi del mondo musicale mitteleuropeo a cavallo tra Ottocento e Novecento: Brahms, Mahler, Richard Strauss, Bruno Walter, Clara Schumann. Paul suonava il pianoforte, che studiò prima con Malvine Brée e poi con il famoso virtuoso polacco Theodor Leschetziky.
Nonostante il parere contrario del padre, che benché amasse la musica – era violinista dilettante oltre che collezionista d’arte – esigeva che i figli maschi entrassero in azienda, Paul si sentiva ineluttabilmente avviato sulla strada delle note. Gli offriva conforto la nonna materna, Fanny, cugina del violinista, direttore d’orchestra e compositore Joseph Joachim, con il quale a volte il piccolo Paul suonava in duo. Il contatto con i “Maestri” che bazzicavano il palazzo sulla Alleegasse ne fortificava lo spirito e le intenzioni, nonostante il coriaceo genitore lo osteggiasse pubblicamente fin dall’infanzia. La cosa non sfuggì a Brahms, spesso gradito commensale, che un giorno confidò: «In quella famiglia si scontrano quasi fossero in tribunale”.
Il primo concerto pubblico il ventiseienne Paul lo diede poco dopo la morte del padre causata da un tumore alla gola, e dopo una inutile esperienza da bancario. Il lutto lo liberò da quello stato di rancorosa soggezione nella quale da sempre si dibatteva. La serata, nel dicembre 1913 alla Grosser Musikvereinsaal di Vienna, la organizzò lui stesso attingendo al ricco patrimonio del quale era venuto in possesso per legittima successione. Affittò la sala e l’orchestra, e finalmente realizzò il suo sogno. I giornali ne parlarono, sia in omaggio al nome illustre che portava, sia spinti dalla curiosità. Gli elogi non furono molti, ma non si mancò di notare la particolare abilità nell’uso della mano sinistra.
Il sogno durò poco. L’anno seguente, il 28 luglio, scoppiò la Prima guerra mondiale e Paul venne chiamato sotto le armi. A meno di un anno dalla data del suo debutto pianistico ufficiale, nell’agosto 1914, mentre guidava una pattuglia presso la cittadina di Zamosc, nella Polonia sudorientale, venne colpito al gomito destro da una pallottola russa. Perse conoscenza e venne trasportato in un ospedale da campo. Mentre era ancora incosciente, l’ospedale cadde in mano ai russi, che trasferirono feriti e medici a migliaia di chilometri di distanza, a Omsk, in Siberia. Quando il ferito finalmente tornò completamente in sé scoprì la terribile realtà: gli avevano amputato il braccio ferito.
Avuta notizia della sorte del fratello, Ludwig scrisse: «Continuo a pensare al povero Paul, la cui carriera si è così proditoriamente interrotta! Che cosa terribile! Quale forza d’animo ci vuole per superare un simile momento! Ammesso che sia possibile farlo senza suicidarsi!». Il suicidio sarà l’atto finale di tre fratelli Wittengstein. Ma non di Paul, che nell’ospedale di Omsk, superato l’inevitabile shock, giurò a se stesso che nulla avrebbe fermato la sua vita da concertista. Cominciò con l’eseguire con la sola mano sinistra tutte le operazioni della vita quotidiana: lavarsi, vestirsi, mangiare, pettinarsi… Poi, arrivato a un buon grado di autonomia, si procurò una cassa di legno e su questa tracciò quella che voleva essere una tastiera di pianoforte. Iniziò a esercitarsi quotidianamente per sette ore di fila. I ricoverati lo osservavano allibiti e probabilmente si domandavano se oltre al braccio avesse perduto anche il cervello.
Per intervento di un lungimirante diplomatico, Paul fu trasferito in un campo dove avrebbe potuto trovare un vero pianoforte. Qui il giovane fece ricorso alla propria memoria e ai pezzi che conosceva a menadito perché eseguiti più e più volte durante le lunghe ore di lezione su uno dei sei pianoforti disseminati nel paterno palazzo. Aveva già scritto in proprio alcuni brani appositamente impostati sulla mano sinistra e altri ne aggiunse. Poi elaborò e adattò composizioni altrui per costringerle alle sue personali esigenze anatomiche. Tra queste lo Studio n. 12 di Chopin, quello noto come Rivoluzionario, che presentava importanti interventi proprio per la mano sopravvissuta. Non gli bastava.
Chopin gli venne nuovamente in soccorso con gli Studi trascritti per la mano sinistra da Leopold Godowsky. Il lavoro era stato pensato da Godowsky non per pianisti privi di un braccio ma per aprire «nuove vie ai compositori». Questo a Paul non interessava, interessava riuscire a liberarsi a tutti i costi dall’handicap: «È come scalare una montagna, se non riesci lunga una via provi lungo un’altra». Così entrò in contatto epistolare con un allievo di Liszt, Géza Zichy, il primo pianista professionista privo di un braccio.
Dopo il rimpatrio, nel novembre del 1916 Paul diede il primo concerto davanti a un pubblico attonito, ipnotizzato da quella manica destra vuota, e che restò a bocca aperto per la inaspettata abilità della mano sinistra. «Non un fenomeno da baraccone», scriverà più tardi il Boston Evening in occasione del debutto del “one-armed pianist” negli Stati Uniti, dove si recherà anche per insegnare, «ma un musicista e un virtuoso le cui esibizioni sono arricchite da indubbio valore artistico». Come sempre a Paul Wittgenstein questo non bastava, come non bastava la musica che era già stata scritta. In forza del patrimonio a sua disposizione commissionò a svariati compositori creazioni tagliate sulla sua particolare “misura”. Tra questi Korngold, Hindemith, Strauss, Prokofiev e Ravel, per un totale di 17 composizioni ad personam.
Con i compositori non furono sempre rapporti facili, anche se il Concerto per la mano sinistra in Re maggiore di Ravel (scritto negli anni 1929-1930) si sarebbe dimostrato un successo per entrambi, creatore ed esecutore, tanto che ancora oggi viene considerato tra le perle del maestro francese ed è eseguito da pianisti dotati di entrambe le mani. Sembra – e molto probabilmente è storia vera – che all’atto della consegna del lavoro Wittgenstein avesse borbottato «Sono un vecchio pianista e quella roba là non funziona», al che Ravel avrebbe ribattuto «Sono un vecchio orchestratore e quella roba là funziona». Identica incomprensione con Prokofiev: «Non ho ancora suonato il concerto che ha scritto per me perché la sua logica interna non mi è chiara. Lo farò quando l’avrò capita». Mai lo suonerà. Il compositore lo ricambierà di uguale moneta: «Se avesse due mani sarebbe considerato un pianista come tanti altri». Stessi problemi con Hindemith. Nel contempo Paul non mancava di avanzare diritto assoluto ed esclusivo su quanto da lui commissionato (e pagato): «Non si costruisce una casa a proprie spese perché poi altri vi vadano ad abitare». I lavori saranno a disposizione di tutti solo dopo che Paul Wittgenstein avrà cessato l’attività, o avrà finito di vivere. Il che avvenne il 3 marzo 1961.
Box 1 – Volontà e tenacia Fenomeno unico quello di Paul Wittgenstein? Non proprio. «Seppe mettere a frutto una dote del cervello che tutti noi possediamo», spiega il professor Lorenzo Pinessi, direttore del dipartimento di Neuroscienze e salute mentale dell’Azienda ospedaliera universitaria Città della Salute di Torino. «Mi riferisco alla naturale plasticità che questo organo possiede. Sappiamo che l’emisfero destro dell’encefalo comanda il lato sinistro del corpo, e che l’emisfero sinistro comanda il destro. Se una parte dell’organismo viene a mancare (come in seguito a un’amputazione), l’area motoria della parte illesa lentamente subentra nel ruolo dell’altra, che tiene in quiescenza la funzione venuta a mancare (per esempio l’uso della mano), che prima era di sua competenza e mantenendo le altre (il movimento della gamba)». Ma è possibile facilitare questo passaggio di competenze? «Certamente. Oggi disponiamo di svariate tecniche stimolatrici, ma alla base c’è sempre la ferrea volontà e la costanza del soggetto interessato».
(Corriere.it – luglio 2014)