Se fosse un film, già dalla prima immagine si vedrebbe in sovrapposizione un orologio digitale che scandisce lo scorrere del tempo, a ritroso: 9 minuti e 59 secondi… 9 e 58… 9 e 57… un secondo dopo l’altro. Qualche cosa sta per accadere. Intanto, alternativamente, le immagini mostrerebbero le fasi della liturgia preparatoria di un intervento chirurgico, soffermandosi ora sul paziente ora sul movimento puntualmente organizzato nella sala operatoria, sia dei medici sia del personale che agirà con lui: camici, mascherine, guanti, controllo dell’apparecchiatura, sistemazione della luce, preanestesia, barella, lettino operatorio, sguardi tra chirurgo e anestesista, controlli, ordini più meno sommessi… Intanto il tempo ha continuato a scorrere: quattro… tre… due… un secondo. È l’ora X. Ma non è un film.
Sono più o meno i minuti che hanno preceduto la forte scossa di terremoto – 5.8 punti della scala Richter diranno i sismologi – che ha sconvolto Modena il giorno 29 maggio 2012, un martedì, alle ore 9 e 3 minuti del mattino. Il professor Giovanni Ferrari, chirurgo urologo, direttore del Servizio di urologia dell’Hesperia Hospital, figlio e nipote d’arte, in quel momento è in sala operatoria e sta eseguendo un intervento per eliminare l’ipertrofia prostatica benigna, IPB, su un paziente di 72 anni, un rappresentante di quell’80 per cento di maschi italiani affetto da questo imbarazzante e condizionante problema, che tanto influisce sulla qualità della vita con insopprimibili problemi riguardanti la minzione. Tutto fino a quel momento sta procedendo bene, secondo un’ormai collaudata tabella di marcia
L’intervento si avvale della più aggiornata tecnologia con il raggio laser, un’apparecchiatura al triborato di litio, velocissima e potente, 180 watt, che elimina il tessuto prostatico in eccesso riducendolo istantaneamente in bollicine di vapore. Qualche cosa che ricorda i vecchi film di fantascienza anni Cinquanta. In sala operatoria, oltre al chirurgo, seduto tra le gambe del paziente che è in posizione ginecologica, ci sono quattro persone: la anestesista, l’assistente del chirurgo e due infermiere. Il chirurgo controlla costantemente il procedere dell’intervento, da lui stesso pilotato in endoscopia, sul monitor che gli sta di fronte, dopo avere raggiunto la zona incriminata con l’apposita sonda introdotta nel pene. Manca la musica di sottofondo, ma da alcuni anni il professor Ferrari preferisce farne a meno («Una volta usavo anche il rock»); al suo posto ama parlare con il paziente, quando questo è sveglio anche se un poco sedato. Nel caso specifico però per il paziente c’è un particolare importante: contrariamente al solito è stato addormentato, perché, dati i problemi alla spina dorsale di cui soffre e a una operazione alla quale è stato sottoposto per il posizionamento di alcune barre atte a correggerne una seria scoliosi, è stato addormentato, una procedura preferita all’anestesia spinale, quella che rende insensibili dalla cintola in giù e che è prevista dal normale protocollo. Per ora tutto bene.
«Improvvisamente ho l’allarmante sensazione di perdere l’equilibrio, di cadere…». Ferrari guarda la anestesista che gli sta di fronte, dall’altra parte del lettino operatorio: il volto della collega, tra la mascherina e la cuffia che raccoglie i capelli, è bianco. Terreo. Gli occhi sbarrati. La dottoressa pronuncia una sola parola, dapprima quasi un interrogativo sussurrato, poi un urlo: «Il terremoto !». Alla anestesista fanno eco gli altri. È il panico, o quasi. Già qualche giorno prima, il 20 maggio, la terra aveva tremato alle 4 di notte, già aveva procurato danni e vittime. Questa volta la scossa sembra addirittura più forte. E alla prima ne seguiranno altre. Siamo prossimi al rischioso confine che porta alle reazioni incontrollate. Il lettino operatorio beccheggia, gli armadietti tintinnano, le fleboclisi ondeggiano, il tavolino dei ferri manda un allarmante sferragliare (anche negli interventi con il laser i ferri devono essere a portata di mano), mentre in sottofondo domina uno scricchiolio che ricorda tanto quello di una vecchia imbarcazione di legno maltrattata dalle onde. Ecco: ora siamo nel panico, tra grida, agitazione che rischia di sfuggire al controllo e tanta voglia di fuggire, di lanciarsi a cercare un riparo, là fuori.
Ferrari riesce a mantenere la calma. Urla: «Nessuno esca!», mentre interrompe l’erogazione del raggio laser, pur mantenendo la sonda all’interno del paziente. Fa mettere lo strumento in standby e in una frazione di secondo stabilisce che la cosa giusta da fare non è interrompere l’operazione ma aspettare a nervi saldi che la terra si calmi. Per fortuna l’uomo sul lettino è incosciente e quindi nulla percepisce e non si agita, mettendo a rischio l’esito dell’intervento. «Ero relativamente tranquillo, perché ci trovavamo in una struttura fatta costruire trent’anni fa da mio padre secondo criteri antisismici. Poi il laser mi dava sicurezza. A differenza del bisturi, che taglia il tessuto e che, se si trova nella carne, un improvviso scossone può fargli provocare danni anche gravi, con il laser, che lavora dall’esterno, questo pericolo non esiste. Inoltre la vaporizzazione non provoca fuoriuscita di sangue, e ciò ci consente di sospendere l’intervento senza che il paziente debba pagare le conseguenze di un prolungato sanguinamento».
Sono istanti che sfuggono ad ogni valutazione di tempo. Il terremoto arriva silenzioso, senza preavviso di boati, lampi o altro ancora. I sensi lo percepiscono quando già è in azione, quando già ci siamo dentro, quando ogni secondo può essere quello che salva la vita. Si trattiene il fiato mentre il cuore impazzisce e il cervello elabora mille possibili vie di salvezza, in attesa della prossima scossa… sarà più forte ? era questa l’ultima? Poi finalmente la terra si placa. Nella sala operatoria “A” dell’Hesperia l’intervento viene portato a termine e subito il chirurgo assegna a ogni persona presente un compito da svolgere immediatamente, «per mantenere alta la tensione ma anche distogliere il pensiero da quanto appena successo».
Quando esce dalla sala operatoria, l’équipe trova la baraonda del rientro: infermieri, parenti dei degenti, gli stessi degenti che hanno potuto muoversi (quelli in rianimazione sono rimasti al loro posto, assistiti dal personale dell’Unità), medici, lettighieri, addetti a varie mansioni, stanno riguadagnando l’Hesperia. Sullo spazio esterno il personale ha eretto una tenda per i primi interventi. Ferrari chiede ai pazienti che erano già pronti per la sala operatoria che cosa vogliano fare. Due rinunciano, uno no. Alle 11 e 30 l’attività operatoria si ferma. Solo per quel giorno 29, perché il 30 alle 8 di mattina riprenderà come sempre. Danni strutturali non ce ne sono. In una riunione dei responsabili dell’Hesperia si decide che tutto il complesso, con medici, sale operatorie, visite e assistenza, sarà da subito e gratuitamente a disposizione di chi è stato duramente colpito dal sisma.
Box 1 – Un naso che salva la vita Cani da catastrofe. Sono assolutamente preziosi, dato che da loro, dai loro sensi “animaleschi” (soprattutto l’odorato) può dipendere la sopravvivenza di una persona sepolta sotto le macerie provocate da un sisma. Non appartengono a una razza specifica (numerosi infatti anche i meticci), ma hanno tutti seguito un corso di addestramento che ha fatto di loro altrettanti strumenti di salvataggio imprescindibili in occasioni tanto tragiche quanto urgenti. Lavorano in coppia con il proprio istruttore e collaborano con i pompieri e con le squadre della Protezione Civile, che ne attesta periodicamente le capacità istintuali e caratteriali, oltre a quelle fisiche. Sono avviati alla “professione” da cuccioli, ma il vero addestramento inizia quando la maturità fisica è stata raggiunta. Tra le macerie danno risultati migliori della strumentazione elettronica, in quanto sono in grado di localizzare vittime il cui cuore ha cessato di battere e non necessitano di un impossibile silenzio assoluto.
Box 2 – La scala della forza La Scala di valutazione della forza (magnitudo) di un terremoto venne proposta nel 1935 dal sismologo americano Charles Richter per essere impiegata nell’area altamente a rischio della California. Essa si avvaleva dell’impiego di un particolare sismografo e di una formula matematica con logaritmo in base 10, quindi si proponeva come misurazione scientificamente oggettiva in sostituzione della valutazione soggettiva “a occhio” (constatazione dei danni subiti da costruzioni e manufatti di altro genere) propria della Scala Mercalli. La nuova classificazione nel corso degli anni ha subito numerosi aggiustamenti. In base ai valori di quella che in verità è detta impropriamente “scala”, un terremoto fino al valore 2,5 non viene avvertito dall’uomo, uno di magnitudo 5 sprigiona energia pari alla bomba atomica di Hiroshima, tra 6 e 7 si ha un’area distruttiva che va da 10 a 30 chilometri di raggio. Il massimo raggiunto nel corso del secolo scorso è stato quello del sisma di Valdivia, in Cile: 9.
(Corriere.it)