Ogni anno all’Aeroporto Internazionale di Los Angeles transitano circa 87 milioni di persone. Più o meno dieci volte la popolazione della Svizzera. Passano tutti, e passa di tutto: uomini, donne, giovani, vecchi, magri, grassi, ricchi, poveri, professionisti, dirigenti, operai, contadini, manovali, artisti, camionisti, star del cinema, bianchi, neri, gialli, rossi, americani, asiatici, africani, europei, australiani, abitanti delle isole Caiman… Passano merci di ogni tipo: generi alimentari, pezzi di ricambio, giornali, computer, capi di vestiario, strumenti musicali, valigie borse-borsette-borsone, macchine fotografiche, carrozzine, cineprese, videogiochi, medicinali… una marea in entrata e una in uscita, mai ferme, sempre in movimento. Secondo l’antropologo e sociologo francese Marc Augé, questa è esattamente la caratteristica di quelli che lui stesso ha definito “non luoghi”. Come lo sono oltre agli aeroporti, le stazioni ferroviarie e le autostrade. Sono gomitoli di inesausta transumanza, praticamente privi di individui stanziali, praticamente “senza faccia”.
In mezzo a quel flusso e riflusso ininterrotto di gente anonima che chissà da dove viene e chissà dove va, ecco un cagnone: un Labrador di colore chiaro, dall’aria triste e interrogativa. Osserva perplesso i due padroni che lo hanno portato fin lì, e chissà perché. L’uomo ha l’aria distinta e l’impeccabile abito grigio di un dirigente di banca; la donna è una signora della buona società, vestita comme il faut: sobria, elegante, con qualche gingillo di troppo e qualche capo firmato indossato con noncuranza. Entrambi si danno un gran daffare per dimostrare al loro fedele compagno a quattro zampe tutto l’affetto che nutrono nei suoi confronti e per fargli sapere che mai si separeranno da lui. Lui, il cagnone, viene “imballato” in un’apposita gabbia “da viaggio”, perché i tre mai dovranno separarsi.
Varcherà il continente, e poi l’oceano nella pancia del maestoso Boeing 747. Sarà un’incomprensibile trasferta che durerà parecchie ore, nell’oscurità, avvolto dal sibilo dei motori, con una ciotola davanti al muso e qualcosa che sembra il panico dentro la testa. È lo scotto che dovrà pagare in quanto oggetto di egoistiche e debordanti attenzioni. È l’indesiderato effetto collaterale dell’amore.