Alla piccola Nightingale venne imposto il nome di Florence in omaggio a Firenze, la città che l’aveva vista nascere il 12 maggio 1820 e dove i facoltosi genitori si trovavano nel corso del loro interminabile viaggio di nozze durato due anni. In perfetta coerenza, la sorellina maggiore, nata l’anno precedente, era stata chiamata Parthenope, perché il primo strillo lo aveva lanciato davanti al golfo di Napoli. Amore per l’Italia o poca fantasia?
Il padre William era un antesignano nel ramo della epidemiologia. In origine di cognome faceva Shore, ma l’aveva mutato in Nightingale (in italiano: Usignolo) quando aveva ereditato vaste proprietà terriere da un parente del ramo materno. Fu un buon padre. La madre, Frances Smith, era una cattolica di indeflettibili principi. In sostanza, una famiglia dell’alta borghesia britannica e dalle solide possibilità economiche. Le figlie vennero istruite in casa, soprattutto dal genitore. Florence mostrò una particolare predisposizione per la matematica, anche grazie all’interessato impegno di un suo primo spasimante, il cugino Henry Nicholson. La minore delle sorelle Nightingale non era dunque una bigotta.
In quella famiglia, la giovane Flo (così la chiamavano i parenti) non si trovava a proprio agio. I problemi sorgevano soprattutto con la madre, con la quale ebbe più di un profondo attrito, per esempio quando ventenne rifiutò dopo sette anni e senza possibilità di ripensamento, la corte, e con la corte l’auspicato matrimonio, di Richard Monkton Milnes, futuro Primo Barone Houghton. Richard non serbò rancore nei confronti della mancata compagna di vita e della quale al contrario divenne tenace sostenitore. Lei, d’altro canto, aveva confessato che lui «è l’uomo che adoro».
Di sostenitori la fanciulla ne aveva bisogno, a cominciare da quando all’età di non ancora 17 anni “sentì” di essere chiamata a svolgere un compito cristianamente sociale, quello di assistere le persone malate. Era il mese di febbraio del 1837. Qualche anno dopo – nel 1845 – dopo lunghi mesi di rovelli ed esacerbanti ansie interiori, rese manifesto ai genitori il proprio incoercibile impulso filantropico. Sembra che il padre nicchiasse (nel 1851, comunque, le elargirà una generosa prebenda annuale, arrendendosi all’evidenza), ma la madre la prese proprio male non ritenendo decoroso per una ragazza dell’alta borghesia abbassarsi a fare l’infermiera, una mansione a quel tempo equiparata a quella di vivandiera nell’esercito. Si diceva anche che le infermiere fossero in gran parte dedite con passione al bere e molte fossero addirittura ex prostitute.
Florence non mollò. Femminista ante litteram, non pensava che il ruolo della donna nella società fosse ristretto alla procreazione e a essere una buona moglie, confinata tra le mura domestiche, sempre acquiescente alla volontà dello sposo. Così cominciò a darsi da fare, dapprima tra la gente del vicinato che abitava nell’area delle paterne tenute, poi anche presso le istituzioni di assistenza ai poveri. Nel contempo faceva conoscenze importanti, che l’avrebbero aiutata nella sua attività (tra gli altri conobbe, nel 1847, e poi mantenne frequenti rapporti con l’influente politico Sidney Herbert) e decise di mettere su carta le proprie idee e le proprie considerazioni. Tra gli anni 1850-51 soggiornò due volte in Germania, presso Dusseldorf, in un ospedale luterano, dove si rese conto come dovesse essere condotta un’istituzione di quel genere. Tornata in Patria, a Londra poté organizzare l’Istituto per l’assistenza alle donne malate e prive di risorse economiche.
Nell’ottobre del 1853 scoppiò la Guerra di Crimea. Il conflitto era tra Turchia, Francia, Gran Bretagna, Regno di Sardegna (per strategia politica di Cavour) da un parte e Russia dall’altra. In Inghilterra, per il tramite del Times e del suo inviato William Russell, giunsero notizie sulle miserevoli condizioni in cui si trovavano i soldati feriti, così il 24 ottobre 1854, con la benedizione del fedele amico Sidney Herbert, ora Ministro della Guerra, Florence partì per Scutari, in Turchia, con 38 infermiere da lei stessa istruite. Pochi giorni dopo, il 25 ottobre, ebbe luogo la folle carneficina che coprì di gloria e di sangue la cavalleria inglese a Balaklava.
A Scutari le condizioni in cui cercavano di sopravvivere i feriti erano miserande, tanto è vero che la maggior parte dei decessi non erano conseguenza della guerra bensì dell’ambiente in cui erano confinati. Florence si guardò in giro e se ne rese immediatamente conto: igiene inesistente, sovraffollamento, altissimo pericolo di contagio, scarichi fognari a vista, nessun ricambio d’aria, nuove infezioni ogni giorno, alimentazione insufficiente e, ovviamente, personale medico in numero assolutamente inadeguato. Le volontarie venute dalla lontana Inghilterra si diedero subito da fare tra lo scetticismo degli alti gradi militari, ma la situazione, ormai compromessa, non migliorò in maniera significativa.
In quel girone dantesco, che lei stessa descrisse con l’epiteto «Regno dell’Inferno», Florence si aggirava anche di notte, armata di una lampada e infinita buona volontà, per confortare, assistere, incoraggiare, dare speranza. Da qui l’imperituro nome di “Signora della Lampada”. Un’immagine che fu resa poeticamente pubblica anche dal poeta Henry W. Longfellow: I feriti sul campo di battaglia, / nei tristi ospedali del dolore, / i bui corridoi senza vita, / i pavimenti di fredda pietra. // Guarda! in quella casa della sofferenza / vedo una signora con la lampada / mentre passa nella luce incerta / veloce da una baracca all’altra. Le infermiere si prodigavano anche per aiutare gli infermi nella corrispondenza con la famiglia, a ricevere pacchi e notizie. Flo in persona si diede da fare per organizzare una sala di lettura. I graduati capirono che anche i soldati della truppa andavano trattati da cristiani.
Rientrò in Patria a guerra finita, portandosi addosso una subdola e a tratti invalidante forma di brucellosi. Era i 7 agosto del 1956 quando Londra l’accolse come un’eroina. Venne organizzata una pubblica sottoscrizione a favore della sua opera e fu ricevuta dalla regina Vittoria. Intanto era sorta una fondazione che portava il suo nome, alla quale ella stessa farà seguire una scuola di “addestramento” per infermiere, la Nightingale Training School, la prima del genere. L’anno seguente la regina stessa le chiese di condurre un’inchiesta sulle condizioni di vita nelle caserme del Regno Unito. Ne seguì un ponderoso libro e la fama di Florence divenne internazionale.
Le sue esperienze, ciò che aveva visto, ciò che aveva fatto e ottenuto, saranno alla base del prezioso trattatello, Notes on Nursing, pubblicato nel 1859 a Londra e l’anno seguente a Boston: 136 pagine ancora attuali. «Osservando le malattie, sia nelle abitazioni private sia negli ospedali pubblici, ciò che colpisce con maggior forza è il fatto che i sintomi dolorosi che di solito si considerano inevitabili e propri di quel male, molto spesso non ne sono affatto i sintomi ma sono dovuti ad altro: alla mancanza di aria fresca, o di luce, o di tepore, o di tranquillità, o di pulizia, o di regolarità nella dieta alimentare…».
La sua attività proseguì nella più indefessa alacrità e autorevoli riconoscimenti fioccarono, mentre le “sue ragazze” cominciarono a farsi valere in varie parti del mondo, Guerra Civile americana compresa e nel lontanissimo Giappone. Nel 1858 entrò, prima donna, a far parte della Reale Società di Statistica. Era il pieno riconoscimento per un’altra particolare dote: sapersi destreggiare a meraviglia nel mondo della matematica in generale e in quello della statistica in particolare. Tra l’altro era stata promotrice dell’impiego dei grafici “a torta” per illustrare visivamente la realtà concernente lo stato sanitario di una data popolazione e quindi valutarne lo sviluppo e se necessario intervenire quando fosse stato possibile. Il metodo si rivelò fondamentale nello studio riguardante l’India contadina. Nel 1907, ancora una volta prima tra le donne, a Florence Nightingale verrà conferito l’Ordine al Merito. Lei già da tempo si era rifugiata lontano dalla pubblica attenzione, costretta anche dalla salute sempre più malferma, e si era dedicata alla traduzione dei Dialoghi di Platone e dei mistici cristiani (sapeva di greco e di latino).
Trascorse gli ultimi anni costretta a letto e quasi cieca, ma ciò non le impedì di accogliere accanto a sé giovani volonterose attirate dalle sue idee innovatrici. Morì il 13 agosto del 1910 nella sua abitazione di Londra. A oltre un secolo dalla scomparsa risuonano ancora le parole che scrisse nella prefazione di Nursing: «Ogni donna, o quasi ogni donna, nel corso della propria vita, prima o poi deve farsi carico della salute di qualcuno. Ogni donna è un’infermiera».
(Corriere.it)