Arrivano alla spicciolata con il sole dell’alba. Fa ancora quasi freddo, ma i raggi già tiepidi cominciano ad asciugare la rugiada notturna che bagna l’erba, là dove brillano minuscole gocce d’argento. Arrivano a piccoli gruppi: donne, uomini, ragazze, ragazzi, anche bambini, insonnoliti e desiderosi di rifugiarsi nel fienile e riprendere il sonno così inopportunamente interrotto. Arrivano bisbigliando tra loro, con parole che rinfrancano vecchie amicizie o sono il presupposto di nuove. Arrivano, e indossano i “paramenti” necessari per l’occasione: stivali di varia altezza, pantaloni di jeans o di fustagno, camicie di flanella colorata e, per l’inizio della giornata, un golf di lana leggera, in attesa che il sole avanzi nel suo arco e faccia valere i propri diritti celesti. Il cielo è azzurro, promette una buona giornata, solo qualche piccola nuvola di vento ne macchia l’uniforme serenità. Dopo che tutti si sono bardati secondo i dettami del lavoro in comune che li aspetta, il “capo” distribuisce le forbici necessarie per tagliare i grappoli e i contenitori per portare il “bottino” nella cantina, là dove la rudimentale “macchina spremitrice” aspetta da ieri.
La vigna non è estesa, ma bene esposta. La vendemmia in verità annuncia fatica per tutti in quanto i filari delle viti sono disposti su alti gradoni che disegnano il fianco di una collina molto ripida. Sono divisi in due settori, separati da un largo passaggio, quasi una mulattiera, adesso ancora scivoloso di rugiada. Dovrà essere percorso a buona andatura per tutta la giornata portando a destinazione il prezioso carico prima che qualche acino inavvertitamente spiccicato inizi la fermentazione. Quasi come lavorare a una vegetale catena di montaggio. Il tour de force terminerà al calar del sole. Prima di iniziare viene distribuita a tutti una capiente tazza di latte appena munto e una generosa razione di pane cotto nel forno della masseria, pane ancora caldo e di promettente profumo.
Il lavoro viene avviato dopo una approssimativa divisione dei compiti: donne e ragazze tra i filari a tagliare i grappoli, uomini e ragazzi ad andare su e giù con il carico sulle spalle. Qualche contenitore “piange” sugo prezioso e bisogna fare alla svelta a percorrere la poco agevole e precaria salita, mentre nuovi grappoli vengono sottratti alla vite dopo averli accolti con leggerezza nella mano sinistra, come in una culla, e aver tagliato il “cordone ombelicale” che li unisce alla pianta madre. Qualche grappolo deve essere ripulito da quegli acini che già si presentano in cattive condizioni. Il vino chiede di nascere secondo regole sicure, provate e comprovate durante una lunga esperienza maturata attraverso più generazioni.
Toni, il “capo” responsabile in prima persona di tutta la faccenda, non può allontanarsi dal suo posto di vigile scrutatore: approva, ammonisce, incita, suggerisce, controlla. Sempre attento, sempre all’erta. Non si concede neppure un minuto di sosta, e affida al figlio maggiore gli improcrastinabili compiti giornalieri che la conduzione della cascina inesorabilmente richiede: abbeverare le vacche, dare loro da mangiare, pulire la stalla, dare da mangiare a maiale, conigli e galline, stendere il fieno sul grande cortile perché si asciughi bene prima di essere impilato nel fienile, mungere le mucche, bagnare l’orto…
I grappoli colti raggiungono a ritmo incalzante la cantina, dove li aspetta una macchina che somiglia tanto a una di quelle usate per tirare la pasta a sfoglia, ma più in grande. È azionata a mano, con una manovella, e la cascata color porpora che esce dai suoi rulli finisce in una tinozza che via via è travasata nel grande tino di legno che sta in fondo al lungo locale, sotto uno degli archi vecchi di centinaia di anni. Intanto comincia a diffondersi nello spazio angusto e semibuio l’odore di quello che diventerà prezioso mosto, ed è un buon segnale, anche se alcuni tra i lavoranti più giovani e meno abituati ora danno saltuari segni di non proprio inattesi effetti collaterali.
I bambini adesso sono tutti ben svegli. Caracollano di qua e di là, su e giù, nel cortile e tra i filari, mentre alcuni, i più coraggiosi, si avventurano tra mille esitazioni anche nella cantina, dove l’odore che ormai invade l’aria li respinge senza remissione. Altri inseguono le galline, altri si sono procurati un coniglio con cui giocare. Le mucche è meglio lasciarle in pace, pure dal maiale è prudente stare alla larga, la tribù dei gatti si è data alla macchia. Le madri, giù in mezzo ai filari, cercano di governare l’esuberanza dei piccoli con grida lanciate tra un grappolo e l’altro. A mezzogiorno si mangia quello che si è portato da casa: pane, salame, formaggio, magari una o due mele. Gli uomini (ma non solo loro) non si fanno mancare un bicchiere di vino, vecchio di due o tre anni. Dà forza e ricorda perché si è qui.
Nel pomeriggio, sotto un sole che ora si fa ben sentire, si procede con regolarità. Si chiacchera tra un filare e l’altro, tra una salita e una discesa. Reciprocamente ci si dà appuntamento per una serata all’osteria o a casa propria. Si programmano disfide a scopa e si paragona il risultato di questa annata con quello dell’anno precedente, tra mille aneddoti e qualche pettegolezzo. Con spirito da cacciatore si esagerano i risultati dell’ormai lontano e mitico 1946. Qualcuno può vantare un incontestabile «io c’ero».
Tra la soddisfazione generale, l’accaldata giornata finisce con un cenone in vociante compagnia, davanti a polenta e salsiccia, arrosto di gallina e di coniglio, prodotti dell’orto, una fetta di pastafrolla, caffè e ammazzacaffè. Il vino «di quella mitica annata» viene distribuito con magnanimità dal soddisfatto Toni, che ritiene giusto sottolineare che «sono proprio le ultimissime bottiglie», facendo capire che non è elargizione di poco conto. Poi, lentamente, l’operosa compagnia si avvia per rientrare alle proprie case, tra saluti, qualche battuta e ammiccamenti tra vecchie e nuove conoscenze. I bambini si sono riaddormentati, e ora guadagnano il lontano letto tra le braccia dei genitori