Era il 1988 e tutti credevamo profondamente in quell’iniziativa, che voleva essere una sorta di L’Espresso per un pubblico sostanzialmente femminile (da cui il nome della testata). Eravamo un bel gruppo, con gente arrivata da Epoca, Panorama, L’Europeo, Amica, Il Messaggero… Io ero il solo “interno”, cioè già in forza a quell’Editore. Durò poco ma fu entusiasmante, perché partecipare alla nascita di una nuova testata è una delle esperienze più coinvolgenti che si possano vivere da giornalista all’interno di una redazione. Era un settimanale e la prima chiusura fu alle due di notte. C’era ovviamente una rilevante parte dedicata alla moda, ma non era quella prevalente. La prevalenza l’avevano cronaca, politica, cultura, spettacolo, con articoli anche molto in anticipo sui tempi. Il primo numero (con allegato gadget) vendette 320mila copie, il secondo (niente gadget) poco più di 200mila: ma è un fatto fisiologico. Per giudicare se una nuova testata funziona- dicono i saggi – bisogna, per un settimanale, aspettare almeno sei mesi. L’Editore non si mostrò paziente: dopo “9 settimane e mezzo” licenziò il direttore. Venne una direttrice, proveniente dal mondo della moda, la quale ebbe il cattivo gusto, prima di presentarsi alla truppa, di rilasciare un’intervista nella quale parlava male del direttore uscente e della redazione tutta. Il caporedattore centrale e io scrivemmo una dura lettera, indirizzata alla persona dell’Editore stesso, in difesa sia del direttore sia della redazione e bollando come «inopportuno» il comportamento dell’annunciata e imminente “direttora”.
Durante la prima riunione di redazione, imbarazzante e imbarazzata, dissi alla nuova venuta (la quale in vita mai aveva fatto alcunché di giornalisticamente rilevante, almeno a parere della redazione e mio) che prima di «insegnare agli scoiattoli ad arrampicarsi si deve dimostrare di sapersi arrampicare». Il giorno dopo fui convocato d’urgenza dall’Editore nel suo smisurato ufficio, quello che prevedeva una distanza di circa otto metri tra la porta d’ingresso e la sua faraonica scrivania. L’Editore mi disse (parole di sottile politica sidacal-aziendale) che il settimanale avrebbe preso una direzione decisamente volta verso la moda e che quindi io sarei stato più utile («dato il mio riconosciuto valore»!) in altra testata. D’imperio mi passò (con scarsa coerenza) al settimanale femminile della Casa, mentre “l’ultima nata” sopravvisse per ancora solo quattro o cinque numeri.
In precedenza sulle pagine di Primacomunicazione, il periodico dedicato al mondo della carta stampata e dell’informazione, era apparsa una fotografia della redazione al gran completo, nella quale foto si può ancora oggi notare un particolare “storico” e di importanza primaria per il sottoscritto: fu l’ultima volta che indossai la cravatta.