Sul Corriere della Sera del giorno 1° febbraio 1975 comparve un articolo di Pierpaolo Pasolini. Titolo: “Il vuoto del potere in Italia”. Si trattava sostanzialmente di un attacco alla classe politica del nostro Paese, che verrà riproposto negli Scritti corsari con titolo diverso: “L’articolo delle lucciole”. Questo l’inizio: «Nei primi anni sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più.» Una metafora ecologica in epoca pre-verdismo per introdurre e svolgere un ragionamento politico.
Senza avanzare pretese di primogenitura, posso affermare che di quella scomparsa mio fratello ed io ce n’eravamo resi conto da almeno una dozzina d’anni. Erano stati gli anni estivi dei lunghi soggiorni nella casa con giardino della prima Brianza, la casa della Nonna. Molte placide serate prive di vento e soffuse di taciti rumori erano state animate dalla presenza aerea proprio delle minuscole “lampadine”, che veleggiavano silenziose nell’aria ancora tiepida dopo una sgargiante giornata di sole.
Iniziavamo così, in punta di piedi, la caccia a quelle stelline che scivolavano leggere a più o meno un metro da terra, con scarti improvvisi e altrettanto improvvise inversioni di rotta. Dovevamo catturarle senza arrecar loro alcun danno, senza far spegnere quella luce che tanto impalpabile fascino donava alla notte. Però non era affatto facile catturarle: le mani dovevano chiudersi a coppa su di loro e senza neppure sfiorarle dovevano essere momentaneamente imprigionate in un grosso vaso di vetro trasparente. Un vaso come quelli che Nonna usava per la marmellata di albicocche.
Il grosso vaso veniva poi posto sul piccolo tavolo di legno che si trovava nell’angusto cortile, sotto il grande e fronzuto tiglio, e da lì lanciava i suoi segnali luminosi, che sembravano riempire l’aria di un’atmosfera quasi fatata. Alla fine i piccoli insetti venivano liberati, per essere riconsegnati al buio e al silenzio di una placida nottata estiva.
Un giorno mio fratello mi pose una domanda: «Hai notato che non ci sono più lucciole?». La domanda conteneva in sé la risposta. Allora noi non ce ne rendevamo ancora conto, ma l’inquinamento dell’aria e della terra, l’uso indiscriminato di diserbanti, i concimi chimici, gli scappamenti delle automobili sempre più numerose e invadenti, le ciminiere delle fabbriche, il fumo del carbone… tutto contribuiva a rendere inabitabile questo nostro mondo alle innocue lucciole. L’Uomo stava cominciando a segare il ramo sul quale sedeva.
In anni seguenti ci rendemmo conto che altri abitanti di quell’aria che tutti respiravamo stavano lentamente scomparendo: le rondini e i passeri tra gli altri. Ancora mio fratello me lo fece notare. L’aria non risuonava più «di nidi, di gridi di rondini», come recitava una musicale poesia di Angiolo Silvio Novaro, che noi, appartenenti a una generazione ormai obsoleta, avevamo imparato alle elementari. Adesso in campagna dominano le motociclette fuoristrada, e in città i motori inquieti delle automobili scalpitanti in attesa che il semaforo finalmente giri al verde.