Non mi ero mai posto il quesito. Ci pensò mia moglie a farmelo affrontare: «Cosa speri?». Ovviamente si riferiva al sesso del nascituro: maschio o femmina? Sia lei sia io eravamo all’oscuro dei “progetti celesti” e non era ancora di moda l’ecografia predittiva. Comunque non ebbi alcun dubbio: «Femmina!».
Ne ero talmente convinto che poco tempo prima dell’evento La sognai. Dimostrava una decina d’anni, con i capelli castani e gli occhi dello stesso colore ma più scuri. Eravamo insieme al mare, sulla spiaggia a guardare l’orizzonte. Senza volgere gli occhi per vedere meglio il suo viso, mentre ero intento a contare le piccole onde generate dalla risacca, risposi con convinzione a una domanda che la ragazzina ancora non mi aveva posto: «Sì, speravo tu fossi una bambina».
In quel momento non avevo nessuna prova certa per giustificare tanta sicurezza, nemmeno in sogno. Era istinto, era un augurio rivolto a me stesso. Nella stragrande maggioranza, in generale i futuri padri agognano un maschio: per il futuro della famiglia, del cognome, dell’azienda, della professione, dell’attività già avviata… o più banalmente per orgoglio di genere. Per me non era così. D’altra parte è anche vero che, a mio parere, una femmina “promette” maggiore serenità, maggiore dolcezza, maggiore corrispondenza di sentimenti. Forse anche maggiore complicità e meno competizione. Solo il destino, che in realtà ha già deciso, stabilirà se avevo ragione.
Una mattina di fine ottobre squilla il telefono. È una voce femminile: «Complimenti, lei è diventato padre di una bella bambina. La piccola sta bene… anche la madre sta bene…». L’istinto paterno a volte non sbaglia. E non ha sbagliato nemmeno per il “dopo”. Mai.