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36a Un Elefante in giardino

Era l’orgoglio della Nonna. Era il gigante buono del giardino. Era ammirato da tutto il paese. Sembrava immenso, svettante, invincibile. In altezza superava anche la villa e la torretta che si levava oltre l’ultimo piano. Era una fortezza inespugnabile. Era il Grande Fagus (faggio rosso, F. Atropurpurea). Accoglieva paternamente ogni ospite che entrasse dalla piccola porta di fianco al grande cancello. Quando, sia pur raramente, questo veniva aperto per permettere l’ingresso di un’automobile nel ghiaioso cortile davanti alla facciata della casa, c’era sempre almeno un passante che si fermava per dare una stupefatta occhiata a quell’imperante monumento di rami e di foglie. Qualcuno lo aveva soprannominato “Elefante”. Era come il Duomo per Milano, il Colosseo per Roma. Era un simbolo e una sicurezza. Forse era sempre esistito e tutto il resto gli era via via cresciuto attorno: alberi, aiuole, vialetti, cascina, serra, autorimessa, pollaio… anche la stessa villa.

Il tronco alla base poteva essere abbracciato solo da tre uomini che si tenessero per mano. I primi rami erano a due metri da terra e si facevano subito fitti. Poco più in su si rivolgevano decisamente verso l’alto, il che rendeva praticamente impossibile la scalata. Nessuno si era mai arrampicato e la potatura, forse, non era mai stata effettuata. Lo denunciava anche la forma della “capigliatura”, in verità piuttosto sconnessa. Solo un grosso ramo era stato tagliato perché si trovava a circa un metro dalla base e si spingeva sopra il viale che passava lì accanto, intralciando il passaggio. Vedere cosa nascondessero le foglie era impossibile: troppo fitte, troppo scuro là dentro, anche i raggi del sole penetravano a fatica, e solitamente a piccoli sprazzi di breve durata.

Quando pioveva occorreva parecchio tempo prima che la ghiaia stesa sotto quel tendone arboreo si bagnasse. Questo fatto giustificava la presenza di due panchine collocate vicino all’elefantiaco tronco: se non si dovevano fare i conti con un temporalone estivo, si poteva tranquillamente attendere che spiovesse senza essere toccati da una sola goccia.

Il Grande Fagus era un solitario. Non si vedevano uccelli di qualsivoglia dimensione svolazzarci dentro e fuori. Solo, di tanto in tanto, qualche merlo o una cornacchia. Ma si trattava di eccezioni. Per lo più tra rami e foglie regnava il silenzio. Sotto la sua debordante chioma rossoscura si godeva di una rilassante frescura. Anche nelle giornate di imperante calura estiva. Era una piacevole sistemazione per leggere, giocare a carte o fare merenda in compagnia.

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