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33a Don Carlos in aula

«Il Re ha pianto perché è stato tradito dal Marchese… ma il Marchese lo ha tradito soltanto per amore del Principe (…) e si sacrifica per lui. E allora la notizia che il Re ha pianto giunge nell’anticamera. “Ha pianto? Il Re ha pianto?”. Tutti i Cortigiani sono terribilmente sorpresi, ognuno si sente trapassato il cuore, perché è un Re talmente rigido e severo». Queste righe sono tratte dal primo capitolo del racconto di Thomas Mann Tonio Kröger. Il giovane studente Tonio illustra al compagno di scuola Hans Hansen, il “bello” della scuola, la scena del Don Carlos di Friedrich Schiller nella quale il Re piange, suscitando sorpresa, sconcerto e una fitta di dolore tra i presenti. La tragedia venne rappresentata per la prima volta nel 1787, e già vi si leggevano i segni del nascente Romanticismo tedesco.

Cose della storia, ma anche cose della vita. Questa contiguità mi venne in mente parecchi anni dopo la prima lettura del Tonio. Un fatto analogo era accaduto, con “personaggi” simili ma “interpreti” differenti, nella classe in cui avevo frequentato la seconda elementare. La nostra Maestra era l’opposto di quella deamicisiana “dalla penna rossa”: era una signora molto elegante, sempre vestita con abiti invidiati dalle mamme che venivano a prelevare i figlioletti. Le signore la chiamavano «la maestra Volpi», non perché fosse il suo cognome ma per la pelliccia di volpe che usava portare al collo, come allora non era raro nell’alta borghesia milanese. Forse lo sfoggio non era adatto per un contesto scolastico del secondo dopoguerra. Indossava anche anelli e braccialetti tintinnanti.

A suo modo era dolce e comprensiva, ma anche autoritaria: mandava in punizione dietro la lavagna, affibbiava compiti di castigo per comportamenti da lei ritenuti inadatti, non usava mai le mani ma lanciava occhiate di fuoco, scriveva nel diario note di biasimo da far firmare ai genitori, minacciava di mandare il colpevole di turno dal Direttore (allora si chiamava così). Incuteva rispetto e soggezione, anche se alla fine dell’anno elargiva complimenti a tutti, e parole di incoraggiamento per l’anno prossimo ai più refrattari.

La mia classe – una di quelle che oggi chiamerebbero “pollaio” – era animata dalla solita composita fauna. La maggioranza galleggiava nel più tranquillo anonimato, poi c’erano gli immancabili secchioni. C’era il Primo della classe, a pavoneggiarsi di fronte ai compagni perché era il “Cocco” dell’insegnante; c’era l’Ultimo, indisciplinato e quasi indomabile nella sua sete di nullafacente libertario. Tra l’Ultimo e la Maestra era un susseguirsi giornaliero di piccoli e grandi scontri verbali e comportamentali, di solito senza serie conseguenze per lui e un poco di rassegnata irritazione per lei.

Un giorno arrivò la resa dei conti. Prima ci fu un fitto conciliabolo accanto alla cattedra tra Maestra e Ultimo, reo di un’ennesima indisciplina. La classe non riuscì a cogliere neppure una parola, ma poté notare i volti alterati dei due protagonisti. Poi Ultimo riprese il suo posto nel primo banco, la poco invidiata posizione di chi era un osservato speciale. Ma come si fu seduto, ecco che afferrò una gomma e la scagliò verso l’insegnante, colpendola sulla testa mentre era china sul registro, probabilmente intenta a scrivere una nota di biasimo.

Tutti si aspettavano lo scatenarsi dell’ira, in questo caso giustificata, della Maestra: «Dal preside!… Dietro la lavagna!… Per domani scrivi cento volte “io sono un bambino cattivo”». Non fu così. La Maestra rimase interdetta, quasi stupefatta. Non disse una parola. Alzò una mano per accusare il reprobo… ma non fece e non disse nulla: reclinò il capo, portando la mano vendicatrice davanti agli occhi, e lentamente, silenziosamente, senza un sussulto, pianse. «La Maestra piange? la Maestra piange?». Si ripeteva la scena del Don Carlos: il Re (Maestra) ha le lacrime agli occhi, il Marchese (Ultimo) non si giustifica, i Cortigiani (Scolaresca) restano pietrificati in un raggelante stupore.

I bambini cercarono di nascondersi appoggiando la fronte sul banco e girando la testa verso il compagno accanto. Non si udiva il più lieve rumore, sembrava che nessuno respirasse… il tempo si era pietrificato. Finalmente “il Re” si asciugò gli occhi con il fazzoletto segnato dalle iniziali da ragazza, e con voce che cercava di essere quella normale, rivolgendosi al Primo della classe, disse a mezza voce «Vieni a leggere il dettato per i compagni».

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