Noi

32a Palla al centro

Avevo 10 anni la prima volta che andai allo stadio per una partita di calcio. Nulla di speciale… anzi decisamente in ritardo rispetto all’età media dell’”iniziazione” calcistica dei miei pari-età. Ma il mio caso – anzi, il “nostro”, perché coinvolse anche mio fratello – presentava un aspetto di eccezionalità: ad officiare l’evento non fu un padre bensì una madre.

A casa nostra di calcio non si parlava mai. Per mio padre il vocabolo indicava solamente l’elemento con numero atomico 20 presente nella tavola periodica di Mendeleev. Mia madre ne sapeva qualche cosa della sua ineffabile esistenza, probabilmente perché i suoi fratelli di Biella esprimevano una simpatia moderata per la squadra della Juventus. Tutto qui.

Forse per un fenomeno che potremmo chiamare di “vasi comunicanti a livello familiare”, anche mio fratello e io sviluppammo una innocua propensione nei confronti della squadra degli Agnelli. Nulla di eclatante: ascoltavamo le partite alla radio, ma niente urla di gioia per inneggiare a una rete segnata dai “nostri”, niente scoramento nel caso di una sconfitta, nessun cambiamento di umore per il resto della giornata qualunque fosse la sentenza espressa dal campo. Nemmeno con i compagni di scuola ci avventuravamo sul terreno minato del tifo. Poco ci importava e poco ci coinvolgeva.

Quel mese di ottobre nostro padre era in Svezia per un convegno sulla regolamentazione europea delle apparecchiature elettriche. A San Siro era in programma la visita della Juve. Con mio fratello avevamo ventilato tra noi il proposito di andarci, ma nutrivamo anche il timore e le perplessità che qualunque “prima volta” incute nei neofiti. «Vi accompagno io», tagliò corto Mamma, con quel tono dolcemente definitivo che sempre la contraddistingueva. Furono acquistati tre biglietti “popolari” per l’ultimo anello dello stadio, e la domenica seguente ci si preparò per tempo. Un panino e via.

Raggiungemmo il Meazza con un tram pieno come nonmai e avvolti in una brulicante verbosità fatta di incitamenti, sicurezze senza fondamento, speranze scaramantiche, sfottò e tiritere per deridere gli avversari, presenti o assenti che fossero. Raggiungemmo in piccionaia i popolari e sedemmo all’interno di una marea maschile, senza distinzione tra “amici” e “nemici”. Si alzavano cori più o meno guerreschi e minacciosi, rullavano tamburi, sventolavano bandiere, si stendevano striscioni. Si udì una tromba suonare la carica. C’era anche un maestro di cerimonia, uno per parte. Si trattava di una partitissima molto importante tra storici avversari, ma non ricordo se la squadra di casa fosse il Milan oppure l’Inter.

In realtà ricordo poco o nulla, frastornato dalla presenza di quell’immenso formicaio di persone, dalla tensione palpabile in attesa di qualche cosa che non accadeva ma che “doveva” verificarsi, tra muggiti di disapprovazione, sospiri di sollievo, e insulti lanciati al vento. Tra gli altri, per la prima volta giunse alle mie orecchie l’epiteto «figlio di p—ana!». Forse era rivolto all’arbitro, forse a un giocatore avversario, il fatto è che io, nuovo della materia e ancora intriso da letture salgariane, pensai che quella ipotetica “madre” fosse una qualche divinità indiana. Che ne so? la sorella della crudelissima dea Kalì. Ben più apprezzabile fu l’amichevole atteggiamento del tifoso che sedeva accanto a Mamma. Dopo il lungo protrarsi di passaggi del pallone a metà campo tra giocatori della stessa squadra, si rivolse a lei con fare bonario e comunicativo: «Vede Signora… è come un ricamo». Mia madre annuì sorridendo.

Cadde qualche goccia di pioggia, ma noi eravamo stati previdenti e ora eravamo bene equipaggiati. Il cielo rimase a lungo scuro, poi negli ultimi minuti della partita si aprì una squarcio di azzurro verso ovest, proprio là dove il sole stava calando. I raggi, attraverso quel sipario strappato, sciabolarono nell’aria e andarono a posarsi sul terreno di gioco ancora bagnato, esaltandone il colore verde zaffiro: una specie di palcoscenico luccicante sul quale correvano dietro a un solo pallone ventidue ometti in corte braghette.

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