Noi

9a La visita

Mi presento all’accettazione Privati forte del mio equipaggiamento totale. Questa volta non c’è stata mia figlia a farmi da puntiglioso promemoria per ogni possibile dimenticanza, ma ormai ho imparato la lezione: prescrizione Asl, tessera sanitaria, tessera Casagit, carta di credito, esami precedenti, e per eccesso di previdenza, relazione dell’ultima visita. Un vero controllo della strumentazione, come si vede nei film per le spedizioni verso la Luna. Tutto a posto. La gentile fanciulla digita qualche cosa al computer (tanto per avviare la pratica) poi mi chiede per chi è l’appuntamento. «Per mia moglie». «La signora è qui?». «No ci sono io. Il dottore deve solo vedere il risultato di un doppler». La ben oliata procedura deraglia: senza il soggetto da visitare non si può andare avanti. È una piccola ma fastidiosa apoteosi della burocrazia. «Faccia la visita a mio nome», azzardo accomodante. Trasecola: «È vietatissimo» (da notare l’accrescitivo).

La fanciulla – senza perdere un grammo di gentilezza – si scatena al telefono: chiama una collega, chiama la capa, chiama solo Dio sa chi… chiama chiama chiama. Io faccio presente che quella è la quarta volta che mi presento facendo le veci di mia moglie e non ci sono mai stati intoppi, ma lei non mi ascolta. Chiama. Mi viene in mente la prima volta, della quale ho completamente dimenticato la ragione medica, ma ricordo ancora distintamente la dottoressa: terribilmente carina e gentile. Salutandomi mi disse: «Le faccio tanti auguri». «Per mia moglie». «No, mi scusi, per lei». Poi la diabetologa, che vedendo in me quella che nella sua lista era indicata come femmina si mise a ridere. Infine questo stesso dottore, quello che dovrei vedere adesso, e che non ha mai fatto una piega. Insomma, sarò anche nato sul finire della prima metà del secolo scorso, ma questo burocratismo mi rende perplesso. Come dire che se prenoto una visita a pagamento con un nome, non posso prendere il posto del soggetto indicato anche se si tratta di far solo controllare un referto strumentale, che, guarda caso, si riferisce a quel nome. «Non è previsto», si scusa sconsolata la ragazza incolpevole e ligia alle direttive. «Se è una visita deve esserci la persona da visitare». Inconfutabile. Ma allora per la sola lettura di un esame che si fa?

Non ho armi da contrapporre se non la mia collaudata tecnica che non prevede contestazioni. Probabilmente entrambi sentiamo la presenza di un Grande Fratello, non quello Rai ma quello ben più minaccioso e corrugato di orwelliana origine, e Lui certo ci sta osservando con il suo grande occhio e aspetta solo che uno dei due commetta la mossa sbagliata, fuori dalle regole che Lui stesso ha scritto, per colpire. A quel punto sull’uscio si concretizza la figura del medico: alto, slanciato, in camice immacolato e abbronzatura uniforme. La ragazza lo avvicina, gli espone l’ingarbugliata questione guardandolo con occhio tra l’adorante e il supplicante. Il medico mi dà un’occhiata da sopra la spalla, resta signorilmente impassibile, poi pronuncia poche ma risolutive parole: «Che problema c’è ? Basta non fargli pagare nulla». Semplice, no?

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