Le biciclette le vedeva da sempre. Avrebbe potuto dire «da quando sono nato», e non avrebbe sbagliato di molto. Perché era la verità. Il fatto è che prima non ci aveva fatto caso. Erano nella lavanderia, di fianco al grande lavatoio, quello con il vascone di pietra e il piano inclinato dove sbattere a mano i panni intrisi d’acqua e di sapone.
Le due biciclette avevano svolto il loro servizio per i suoi genitori durante gli anni della guerra, ma ora non venivano più usate. Erano già antiquate quando erano entrate in casa. Quella della mamma, più pesante e macchinosa, era appoggiata contro la parete. Quella del papà, più leggera e “moderna” – anche se entrambe prive del cambio – era appesa alla parete con due ganci. Lui le aveva sempre guardate con rispetto misto a voluto disinteresse. Era molto più attirato dalla piccola e affollata stanza lì accanto, quella che si apriva di fianco al tavolo ingombro di attrezzi per il giardinaggio spicciolo.
La piccola stanza traboccava di vecchie pubblicazioni risalenti ai primi anni di suo padre, vale a dire i primi decenni del secolo. Per lo più erano libri di veloce e appassionante lettura, oggi ritenuti addirittura “classici”, allora relegati all’infanzia o poco più. Erano edizioni popolari, di poco prezzo, dalla copertina in perfetta sintonia con il contenuto e disegni a due colori (predominava il rosso accanto al nero) e solo raramente a quattro. C’erano Fantomas, in abito da cerimonia, cilindro, maschera e piede sulla città o sul mondo; Arsenio Lupin, ladro e gentiluomo, amante amato dalle belle donne; Sherlock Holmes, impassibile e infallibile investigatore di stile inglese. Poi il ponderoso Tartarino, quello nato nella francese Tarascona.
C’erano anche i romanzi avveniristici di Jules Verne, con il viaggio sulla Luna e il giro del mondo in 80 giorni, tra slitte, navi, elefanti, treni e marce forzate. Un posto particolare era per l’immancabile Emilio Salgari e i suoi cicli della Malesia di Sandokan, dei pirati, dei corsari di svariati colori, e dell’ancora ignoto Far West, tutti con copertine dovute all’estro creativo e sintetico di Alberto della Valle. Non mancavano alcune annate rilegate del Corriere dei Piccoli: “Sor Pampurio è arcicontento del suo nuovo appartamento… Parapunzi Peropero, il pacifico re nero, dopo il pranzo calmo siede perché ha la gotta a un piede… Ahi la Pasqua s’avvicina, gridan l’uova di gallina ‘Oh Re Ovone forte e bello tu ci salvi dal macello’…”. Il “Corrierino” proponeva anche storie scritte a puntate, come quella di Ciondolino, il bambino con la camicia fuori dai pantaloncini trasformatosi in una formica. Le biciclette esercitavano poco fascino sui due giovanissimi fratelli.
Lo sprigionarono all’improvviso quando papà decise di prenderne una piccola di seconda mano. Una con le due rotelline laterali che prevenivano i probabili capitomboli. Con quella fece imparare ai due bambini a usare “la due ruote” a pedali. C’era il trucco: tolse le ruotine, e fingendo di reggere il bambino ponendo una mano dietro il sellino, in realtà lo lasciava andare per momenti sempre più lunghi. Fino a quando poté comunicargli: «Non te ne sei accorto, ma sai andare da solo». Era fatta. La pesante bici della mamma venne portata nel cortile, raggiunta subito da quella di papà, prontamente calata dalla parete.
Da quel momento le biciclette furono lo svago principe nelle giornate senza pioggia dei due fratelli. Erano gare, corse, frenate, curve, strisciate, trilli di campanello, sfide, urla di gioia o di scherno; con loro il vecchio cane ritrovava momenti di gioventù correndo a fianco delle ruote e abbaiando contro i raggi fino a sgolarsi. Nei viali del giardino c’erano punti più critici, altri più divertenti e veloci, alcuni da evitare, altri da affrontare a perdifiato, sempre con grande fatica perché una bicicletta era veramente pesante, l’altra più leggera ma instabile. Ogni momento le ruote erano sgonfie e i freni una scommessa. Inoltre i viali di spessa ghiaia rendevano la pedalata molto faticosa e pesante, lo scatto era quasi impossibile, con i ciottoli che schizzavano di qua e di là e il giardiniere che sommessamente mugugnava.
Papà aveva proibito di uscire nelle strade del paese e ancora di più in quelle della campagna. Però un giorno, usando come guida fidata ed esperta il contadino, i due si avventurarono nel mondo. Fu un’apoteosi. Le strade erano lisce come un biliardo e pianeggianti, il tracciato ben disegnato, i rettilineo sembravano perdersi nell’orizzonte, il venticello una delizia, i campi intorno gialli di grano ormai maturo. Cani senza apparente padrone li seguivano per brevi tratti, uccelli ignoti si alzavano in volo al loro sopraggiungere. Pedalavano, pedalavano, pedalavano… senza fatica e senza pensare che prima o poi avrebbero dovuto tornare indietro. Erano felici di trovarsi lì.
Tornarono, accolti da mamma e nonna, rasserenate dopo qualche momento di giustificata ansia. Tornarono, pensando di non essere più bambini ma un poco più adulti.