Il segnale è inequivocabile: Nonna ha tirato fuori dall’armadio il grande cappello di tessuto bianco, quello con la larga tesa che le fa ombra al volto e al collo, fin sotto la nuca. Poi ha indossato il leggero pastrano da lavoro e le scarpe da orto. Le condizioni ambientali sono le più adatte: bella mattinata di luglio, cielo terso, nemmeno una nuvola e leggerissimi refoli di vento a muovere e pulire l’aria. Non c’è da sbagliarsi: è il giorno giusto. Oltre ai due giovani nipoti, ancora ragazzini, anche il vecchio cane ha capito: è il momento tanto atteso ogni anno, il momento della raccolta, una procedura che da tempo immemorabile è riservata alle mani e agli occhiali di Nonna.
Sono circa le dieci del mattino quando la piccola comitiva (tre esseri umani e uno canino) prende la strada che porta all’orto. Là sotto alcuni alberi carichi di albicocche ben mature – alcuni frutti color del rame sono caduti a terra, preda di vespe ingolosite – sono allineati in perfetta simmetria cinque filari di pianticelle di lamponi. Da queste parti, tutti (Nonna compresa) quei frutti rossi li chiamano “fámbros”.
Presumibilmente quella parola è uno dei tanti imprestiti dalla lingua francese, importata qui da Napoleone durante il suo temporaneo regno d’Italia, politicamente e amministrativamente attivo dal 1805 al 1814. In quel decennio, quale omaggio ai transalpini, i frutti di quegli arbusti vennero nobilitati ricorrendo al francese “framboise”. Framboise non erano solamente i frutti, ma anche le pianticelle che li producevano e una particolare grappa, dal profumo e dal sapore suadenti quando sapientemente distillata. Il nome venne lombardizzato ed è ancora in uso.
Quell’angolo di giardino è il più frequentato dagli abitati alati. Vi regna il cinguettio del passero, lo stridio del pettirosso, il fischio flautato del merlo, il trillo del fringuello, il ciangottare dell’allodola e il tubare della tortora. In un ormai mitico tramonto suonò il virtuosismo acrobatico dell’usignolo. In questo momento l’aria è inondata dall’insistito e stordente frinire delle cicale, intente a succhiare la linfa delle piante e invisibili anche allo sguardo del più attento indagatore.
Nonna ha con sé l’indispensabile e inseparabile cestino di midollino. Mentre il cane ha deciso di godersi l’ombra sotto in cespuglio di ribes rosso, stendendosi al riparo delle sue confortevoli foglie, i nipoti si augurano che la raccoglitrice non si accorga delle loro recenti razzie, impietosamente testimoniate dalla presenza di ramoscelli che ancora portano il bianco “supporto” che aveva sorretto la golosa drupa. Ma Nonna è di animo generoso e gentile e finge di non accorgersi della recente invasione.
La delicata raccolta ha inizio. Con mano leggere si scelgono accuratamente solo i frutti ben maturi quelli che quasi si adagiano nella mano protesa, senza dover agire con un sia pur etereo strappo. Il piccolo frutto non deve assolutamente presentare ammaccature o schiacciamenti perché ogni minima goccia del prezioso liquido in esso contenuto va preservata per la preparazione che avrà luogo più tardi, nella penombra della grande cucina. I ragazzini partecipano con rari e svogliati apporti di pochi lamponi, ma in compenso si lamentano del caldo, del sudore e della sete, del venticello che più non si fa sentire, delle vespe importune, dei moscerini insistenti e, chissà perché, dell’assopito cagnone che non collabora. Il che non è proprio vero: lo fa a modo suo, cogliendo abilmente con gli incisivi i frutti alla sua portata. Il fatto è che poi li inghiotte.
In poco meno di un’ora il cestino è pieno. Conterrà almeno un chilo di frutti. La piccola comitiva rientra nella frescura della casa. Nel pomeriggio Nonna preparerà il prezioso sciroppo: lamponi, zucchero e acqua quanto basta, poi una lentissima bollitura che si protrarrà per più di un’ora. Il trascorrere del tempo verrà scandito dal procedere della lama di sole che si insinuerà attraverso le griglie della finestra socchiusa. L’aria della cucina si riempirà dell’inebriante profumo di quei piccoli e preziosi frutti. Quindi sarà la volta della meticolosa filtratura e dell’imbottigliamento. Allora lo sciroppo sarà pronto per essere servito da Nonna agli assetati ospiti di riguardo, sempre benvenuti e a gruppi più o meno numerosi di autoinvitati.
È un’afosa estate del Secondo dopoguerra.