Il nome di quel luogo non lo avevo mai sentito. Oggi, su Internet, si può leggere: «La chiesa di Santa Maria Assunta è un edificio religioso cattolico che sorge in località Ponte di Grizzana Morandi, presso la frazione Riola del comune di Vergano». “Località”, “frazione, “comune”: c’è tutto, ma allora Internet era per pochi eletti e per qualche isolato fanatico delle nuove tecnologie. Oggi, proprio grazie alla cosiddetta “rete”, ormai entrata nell’indispensabile quotidianità di tutti, possiamo tranquillamente anche appurare che “quel luogo” si trova nella Città Metropolitana di Bologna, alle pendici degli Appennini.
L’idea della trasferta per il servizio giornalistico è del fotografo, un pacato e ciarliero ex partigiano e, secondo alcuni, ex “gladiatore”, sempre in caccia di nuovi servizi da proporre ai direttori più disposti al dialogo e più propensi ad aprire l’avaro portafoglio messo a disposizione dall’occhiuto Editore. Il direttore si lascia convincere. «Dov’è questo posto?». «Vicino a Bologna. Si esce dall’autostrada e si va avanti chiedendo informazioni a chi capita…».
Il giorno dopo si parte, in automobile e di buon’ora. La giornata non è proprio delle migliori: il cielo è di quelli di tipo slavato e grigiastro, caratteristico di certe giornate incolori dell’estate milanese. Mentre ci spingiamo verso sud, lassù in alto qualcosa migliora, lasciando spazio a un più promettente e benevolo azzurro. Non tutte le estemporanee informazioni, ricevute a bordo-strada dai viandanti stanziali di genere vario, coincidono. Comunque, dopo qualche volontaria e azzardata deviazione, alla fine raggiungiamo la meta, là dove è stato edificato l’oggetto del nostro interessamento.
La chiesa di Santa Maria Assunta è l’unica opera in muratura esistente in Italia del celebre e celebrato architetto finlandese Alvar Aalto, un Maestro del Novecento, amante dell’Italia (soprattutto Toscana e Firenze) e della natura, alla quale era solito attingere suggerimenti e alla quale aveva dedica più o meno trasparenti omaggi. L’idea per la chiesa era nata da un incontro tra l’architetto e il cardinale Giacomo Lercaro, e si era sviluppata non senza difficoltà e qualche intoppo nel lento scivolare di diversi anni. Lo stesso Aalto, scomparso nel 1976, non aveva potuto vederne la fine, con tanto di campanile, abitazione canonica e sagrato che precede l’ingresso.
Vista da fuori, la chiesa ricorda un enorme bunker. Mentre ci avviciniamo, il giovane parroco mi fa notare che «il profilo del tetto segue l’andamento delle montagne che stanno sullo sfondo». A me ricorda la sagoma di un preistorico stegosauro, uno di quei dinosauri che sul dorso innalzavano una minacciosa serie di coriacee “pinne” verticali. Comunque annuisco, senza eccepire e senza manifestare la mia sottile disillusione.
Mi viene spontaneo il confronto con le nostre cattedrali barocche, tanto ricche e magniloquenti esternamente quanto ridondanti internamente, con statue, ori, capitelli, immagini, quadri, lampadari, santi e sante, Madonne, Gesù, Dio dall’alto, altari, angeli e cherubini, putti, trombe e buccine, martiri, vetrate colorate, intarsi, marmi policromi, colori in chiaroscuro, baldacchini, evangelisti e dottori della Chiesa, profeti, conversioni, apparizioni… una cornucopia debordante di forme, colori, messaggi, allusioni e ammonimenti. Neppure un centimetro quadrato è lasciato libero E qui?
L’interno è bianco come la calce. Benefico come un respiro di sollievo. Qui la luce che entra attraverso i finestroni posti in alto invade il grande spazio, creando suggestivi effetti di presenza e assenza, fino a costituire parte integrante degli “addobbi”. È una presenza palpabile e parlante, è elemento architettonico fondamentale. Le pareti sono totalmente spoglie, il che fa risaltare in maniera ancora più assertiva la croce posta sulla parete in fondo, dietro l’altare. Questo è un semplice parallelepipedo privo di decorazioni. L’interno della chiesa è dominato da una serie di archi che erompono dal pavimento, si lanciano verso l’alto senza raggiungere la volta, per poi, con due angoli arrotondati, “atterrare” sulla parte opposta della navata. Anche gli archi manifestano quella propensione per l’asimmetria che è propria dell’Aalto più compiuto. Anche gli archi si avvalgono della luce che giunge dall’alto per assumere imprescindibile importanza comunicativa. Non so se di queste opere si sia mai parlato come di “razionalismo dell’anima”, ma l’espressione sorge spontanea, mentre è evidente la volontà di indurre “reazioni emotive” nella coscienza e nella psicologia di chi osserva. Non c’è bisogno di appellarsi alla “religione”, basta “l’umanità”.
Il fotografo fotografa, il prete sussurra, alcuni fedeli sono in raccoglimento tra i banchi. Io osservo. Il servizio è qui.