Si può scommettere che pochissime persone hanno sperimentato il brivido di leggere per intero l’infinito romanzo Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust. Un fiume esondante di ben sette volumi scritti nell’arco di quattordici anni, per lo più di notte, stando a letto, avvolto nell’atmosfera ovattata di una stanza con le pareti ricoperte di sughero. In totale, 3.724 pagine. D’altra parte si può altrettanto facilmente ritenere che moltissime persone hanno sentito citare l’episodio dei biscotti chiamati madeleine («che sembrano lo stampo della valva scanalata di una conchiglia di San Giacomo»), il cui profumo scatena nello scrittore l’inarrestabile tzunami dei ricordi.
Della insinuante capacità degli odori di suscitare ricordi, anche i più lontani nel tempo e nello spazio, di risvegliare visioni, sensazioni e magari anche rumori – voci comprese – si parla come di «Sindrome di Poust», proprio in omaggio al prodigo scrittore francese e all’aura che avvolge le madeleine. Indubbiamente tutti hanno conosciuto questa particolare esperienza della mente, consapevolmente cercata oppure anche inconsapevolmente subita. Ricordi sovente piacevoli, quasi sognanti, cullanti e sereni, ma a volte anche sgradevoli e dolenti, quelli che certo si sarebbe preferito non evocare mai. In ogni caso non governabili.
Ieri, in un negozio di leccornie per il palato, mi è “venuta incontro” una peperonata racchiusa in una grossa scatola di metallo. Ottocento grammi e un’etichetta multicolore. Con la peperonata mi è “venuta incontro” mia madre. Infatti da quel contenitore, una volta aperto, si è subito levato l’inconfondibile profumo di quel piatto della prima giovinezza, esattamente così come lo preparava lei per i figli ragazzini, in campagna. Per le altre anonime peperonate dei supermercati l’incanto non si era mai manifestato con contorni tanto concreti e netti, tanto “reali”: peperoni rossi e gialli, cipolla, un tocco d’aceto di puro vino, un pizzico di sale, un tocco di qualche aroma… i peperoni sono da sempre, insieme con pomodori e insalate di varia foggia e consistenza, la mia verdura più ghiotta.
A quel punto Proust si è già messo “in azione”.
Ecco la casa sulle colline del Biellese, ecco la stretta cucina del piano terra con la finestra che guarda la grande corte in terra battuta dove alla sera scorrazza allegro il grufolante maiale e dalla quale si inerpica la stretta strada a ciottoli che raggiunge la comunale, lassù in alto. Su quei ciottoli più di un’automobile, che si è dimenticata di prendere la rincorsa indispensabile per affrontare la ripida ascesa, si è bloccata e ha iniziato a scivolare pericolosamente all’indietro, mentre le ruote slittano e i freni stridono. Nella cucina con i fornelli alimentati dalla bombola del gas, consegnata dal ragazzotto che la tiene in equilibrio sul pianale della Vespa, mia madre prepara la “sua” peperonata, quella che andrà ad accompagnarsi con una grossa ciotola di riso all’inglese o con una, sia pur poco in sintonia con la stagione, polenta o anche un puré. La materia prima, peperoni di colori vari e cipolle bianche e dolci, se l’è procurata nell’orto, e magari ci è scappata pure una tenera zucchina. Mia madre si mette all’opera, con le maniche rimboccate, i multicolore grembiule allacciato dietro la schiena, il lungo coltello in mano e la padella lì di fianco, pronta a raggiungere il fuoco.
L’invisibile aroma ora sprigionatosi dalla scatola di alluminio, come un Genio della Lampada, ne richiama altri, inevitabili comprimari di quella evocazione campestre. L’odore dell’erba appena tagliata, quello dell’erba stesa al sole che sta diventando scorta di fieno per il prossimo inverno, l’odore denso della stalla, quello del pollaio e delle conigliere, delle pesche mature sugli alberi disposti in ordinate file, l’odore della vigna settembrina, dei pomodori, della salvia, del basilico già in fiore, della legna che cede alla forza della sega impegnata ad accantonare il combustibile per le giornate senza sole e debordanti nebbia, il rassicurante profumo delle caldarroste, quello della grappa e quello del mosto che borbotta giù in cantina, l’odore tiepido del gatto ronronante in un angolo della poltrona mentre guarda il mondo con gli occhi a fessura… l’odore rassicurante e inebriante dell’aria di campagna. Una campagna che forse non c’è più, se non nel ricordo.