In agosto le “strade bianche” sono ancora “più bianche”. Il sole a picco, il vento caldo, l’aria secca, le giornate lunghe; l’assenza di asfalto, di cemento, di lastricato… tutto concorre a formare uno strato polveroso, gessoso, dal quale, con la prima inevitabile salvifica pioggia che seguirà il torrido ferragosto, si alzerà quell’indefinibile e ristoratore odore di terreno bagnato che induce a ben sperare per domani.
Lungo quella strada bianca, che serpeggiando a larghi tornanti saliva a perdifiato verso le colline più alte, avanzavamo cercando di mantenere un passo regolare, alla stregua di ciclisti senza bicicletta. Salivamo in sei: il contadino, Toni, con gli improbabili scarponi chiodati, il lungo e flessibile ramo di nocciòlo e il cappello di paglia a proteggergli anche gli occhi; suo figlio sedicenne, svogliato e rassegnato a compiere un dovere che non riteneva di propria pertinenza; la cagnolina di una razza mai accreditata e in perpetuo movimento, avanti e indietro a percorrere il triplo della lunghezza del tragitto; mio fratello e io, tredici e undici anni, perplessi e incuriositi, ancora in dubbio sulla decisione di unirci all’estemporaneo gruppo. Infine la mucca, in marcia verso un destino riproduttivo che rientrava nella colonna “avere” della piccola azienda familiare di Toni.
Il caldo era soffocante e appiccicoso. Con atteggiamento solo apparentemente indifferente, la mucca appena scorgeva un albero sporgere sulla strada i propri rami dispensatori di un poco d’ombra, si fermava, inducendo il caposquadra a ricordarle il dovere che l’attendeva alla meta, e così le somministrava leggeri colpi sulla schiena con il lungo ramo serpentino impugnato nella destra. L’animale, rassegnato, rispondeva con uno sbuffo dalle narici e un sommesso muggito appena percettibile. Intanto non smetteva nemmeno un istante di sapientemente usare la coda per scacciare le mosche che infierivano sui suoi fianchi. La lenta marcia riprendeva, ed era come camminare avvolti nella bambagia sotto un cielo bianco e senza colore. Il sudore colava dalle tempie mentre le gocce che facevano il solletico sulla pelle delle tempie e della fronte scivolavano negli occhi. La camicia si attaccava alla schiena e sotto le ascelle. La sete non trovava più ristoro nelle borracce riempite alla fontana prima della partenza, ora inesorabilmente asciutte, così come la strada.
Ogni tanto incontravamo qualche essere umano che scendeva a piedi e ci guardava con occhio interrogativo: a quell’ora?… con quel sole? Noi lo guardavamo con malcelata invidia, ma sapevamo molto bene che l’ora dell’appuntamento l’aveva stabilita imprescindibilmente il padrone del toro, e quel toro era l’unico rappresentante della sua razza e del suo sesso nel raggio di chilometri. Non c’era stata possibilità di scelta o un’alternativa alla portata delle nostre doloranti gambe. Anche la cagnolina cominciava a mostrare i segni di una montante stanchezza e stava riducendo il proprio raggio d’azione. Ci precedeva di poche decine di metri, scomparendo dietro la prossima curva, ma poi restava là, seduta sulle zampe posteriori e lingua penzoloni, ad aspettare quella fila indiana dal fiato corto e dal passo pesante.
Arrivammo alla cascina tra ciangottio di volatili, abbaiare di cani e lo sguardo sonnacchioso di alcuni gatti. Arrivammo, mentre il padrone del toro, che ci aveva scorti da lontano, già stava conducendo il monumentale maschio nell’apposita stalla, tirandoselo dietro per il grosso anello che l’animale portava al naso. La mucca non si fece pregare a raggiungere il momentaneo compagno. Padrone e Toni si chiusero la pesante porta di legno alle spalle. Tra ragazzi commentammo quanto accaduto e quanto probabilmente stava per accadere. Il toro ci era parso grande quanto un bisonte, di quelli che avevamo visto nei film con cowboy, indiani e praterie sconfinate come il mare.
Prima di rientrare alla base gli uomini prosciugarono mezza bottiglia di vino rosso. Non il ristoro perfetto per una giornata di pesante calura, ma il contratto andava rispettato anche nei particolari. Il ritorno fu più facile e veloce: il sole stava calando, si erano alzate bave di brezza ristoratrice, la strada era in discesa e tutti, forse mucca esclusa, eravamo più riposati. Da domani Toni avrebbe cominciato a contare i giorni: fino a 270, o su di lì.