Nel reparto dischi, su al secondo piano della Feltrinelli di Piazza Piemonte, la sua ricerca da tempo è soprattutto dedicata al recupero di antiche memorie e rinnovate emozioni. Una ricerca sovente vana ma in alcune rare occasioni apportatrice di improvvisi lampi di abbagliante concretezza, affidata a una inconsapevole tenacia del ricordo visivo in grado di suscitare la sommessa colonna sonora di un passato mai cancellato ma solo dormiente. Così è stato per il cd che riproduce la copertina del primo disco di jazz da lui mai ascoltato. Un long playing che rappresentò anche il suo primo consapevole incontro con la musica. Aveva tredici anni. Era l’inusitato quartetto senza pianoforte affidato alla guida e alla raffinata creatività di due sassofoni, uno baritono e uno contralto. Corposa, rotonda, espansa, a tratti gutturale la sonorità del primo; pulita, tagliente, raffinata, eterea quella del secondo: uniti in un prezioso cesello, con un susseguirsi delle frasi in lunghi arabeschi sonori, mai forzati ma sempre all’interno di una linea e di uno sviluppo assolutamente naturali, quasi a segnare un tempo che non appartiene al tempo e neppure allo spazio ma solo alle sensazioni. Quasi un lasciarsi andare sul filo del vento; come osservare dalla sponda un ramo trascinato via dalla corrente. Quasi il passare dello slancio cinetico da una palla all’altra sul tavolo verde del biliardo.
L’ascoltò per la prima volta nel 1958 a casa dei genitori con un disco che l’amico del fratello aveva portato e che poi venne ansiosamente riversato su nastro con un piccolo registratore a bobine. Era una giornata di un settembre inoltrato, con il sole calante del tardo pomeriggio che entrava dalla finestra esposta verso l’orizzonte segnato dalla linea frastagliata dei lontani monti già spruzzati di neve, mentre sua madre nella stanza accanto era intenta a rammendare e ogni tanto alzava lo sguardo verso di loro attraverso la porta aperta, sbirciandoli da sopra gli occhiali. Riascoltare oggi quella musica, a oltre cinquant’anni di distanza, crea un indefinito effetto di straniamento, uno stato di sospensione, ma quelle note, quelle sequenze che si rincorrono in una logica inalterabile, quelle sonorità che non conoscono l’erosione degli anni, sono molto più di uno stimolo a ricordare, sono la vivida istantanea di un passato che ad un tratto si è fermato, che è tornato. Da molto tempo lui non vive in quella casa, ma abbandonarsi al rincorrersi delle due “voci”” gliela fa ricordare, gliela fa “vedere” come se l’avesse lasciata ieri, come se lui ancora si trovasse là, tra i libri di suo padre, la cucina dove faceva correre le automobiline sul piano inclinato dell’asse da stiro, la ghiacciaia che era vietato aprire, il letto che suo fratello non aveva mai lasciato nei lunghi mesi della malattia, il grosso cesto di vimini con i soldatini di stagno, la poltrona sulla quale sua madre sostava ore a lavorare a maglia, la camera dei genitori con il ritratto della bella nonna morta prima che lui nascesse