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13a Il pane a Milano

Stava ritto in piedi a braccia conserte come un novello Napoleone a dominare la pianura, che laggiù in basso andava estinguendosi nell’avanzare veloce del crepuscolo. Aveva in testa il cappello di paglia intrecciata, sistemato leggermente all’indietro, la camiciona a quadri larghi, i pantaloni di grossolano panno grigio ancora sporchi di terra e di erba. Come pure gli scarponi. I suoi occhi grigi guardavano nel nulla, con aria meditativa, mentre si passava lento una mano sotto il cappello tra i capelli ingrigiti e quasi tagliati a zero: «Dov’è Milano?».  Gli indicai un punto, più o meno verso est. Assentì muovendo leggermente il capo. Poi mormorò a fior di labbra, con quel lento cantilenare della parlata veneta che mai lo avrebbe lasciato: «Milano… chisà quanto pan la matina».

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