Andò a sedersi sull’ottavo scalino della breve rampa che portava al primo piano. I raggi del sole, che si insinuavano obliqui dalla piccola finestra del pianerottolo, gli accarezzavano la schiena. Da quel punto poteva vedere in tutta la sua altezza la porta dell’ingresso principale, quella che dava sull’ampio cortile ghiaioso antistante la casa. Era come la cornice di un grande quadro. Scorgeva là in fondo, dopo la spianata grigia, la rigogliosa e fitta foresta di ortensie che in parte copriva la bassa sagoma della casa colonica, con le abitazioni dei contadini, la stalla, i conigli, le capre, le biciclette e le rastrelliere per i bachi da seta. Rimase pazientemente seduto. Gli avevano assicurato che quella era l’ora.
Il sole al tramonto faceva filtrare i suoi raggi nello spazio tra la monumentale massa del faggio, che sovrastava in altezza il tetto della villa, e le svettanti silhouttes delle tuje gemelle. L’aria stava assumendo un soffuso riflesso dorato. Tutto, là fuori, stava assumendo un riflesso dorato. I passeri erano impegnati nella sarabanda che precedeva il riposo notturno. Vorticavano tra le foglie alla ricerca del ramo dove appollaiarsi per dormire. Scacciavano gli intrusi con frenetici battiti d’ali e strida imperiose, rivendicando il diritto al posto che riconoscevano come il proprio.
Rimase seduto. Immobile. Fissava con ansiosa apprensione il basso tetto del colore del vino del fabbricato antistante. Un rustico pianoterra, sommerso in un arabesco di glicini dal profumo pungente e insinuante e dal colore di madonna. Tra poco sarebbe scesa l’oscurità. All’improvviso… eccolo: il gatto rosso. Tondo, soffice, felpato, guardingo, si muove come in una sequenza al rallentatore. La coda mollemente abbandonata e leggermente arcuata sfiora il tetto, mentre le zampe anteriori tastano le tegole con puntuale meticolosità. Un piccolo passo dopo l’altro. Si accovaccia nella posa di una sfinge, con le zampe anteriori ripiegate sotto lo sterno, mentre il sole lo illumina su un fianco esaltandone per contrasto il colore fulvo del mantello. Volge lo sguardo nella direzione del bambino. Forse lo fissa. Certo lo ha visto. Le orecchie diritte colgono ogni minimo rumore in mezzo al chiasso di decine di uccelli bercianti. Il bambino trattiene il fiato. Alla fine, lieve come è arrivato, il gatto si dilegua dietro un comignolo. Lui aveva cinque anni e quello fu il suo primo gatto rosso.